Il 2012 musicale italiano è stato incentrato (molto) sulla querelle fra Vasco Rossi e Luciano Ligabue.
Costruita o voluta che sia , racconta bene lo stato di salute del panorama musicale italiano:non di certo scintillante, pur non essendo moribondo.
Non vogliamo entrare nel merito della polemica – inutile e sterile come i loro ultimi pezzi – ma prendere spunto per affrontare questi due artisti che hanno accompagnato e caratterizzato -con le loro colonne sonore- diverse generazioni.
Le origini.Vasco è un figlio degli anni ’80 (Albachiara è del 1980,Vita Spericolata del 1983) e degli eccessi di quegli anni che lui stesso ha alimentato e subito.
Un edonismo corroborato da un evidente attrazione per lo sballo.
Personalità complessa,anche fragile (alcuni testi sembrano molto autobiografici) ma un talento purissimo unito ad innato marketing della propria immagine maledetta (gli incidenti in auto,l’arresto per droga,il carcere).
Vasco è piaciuto perchè è stato spontaneo, non costruito.C’è chi ha raccontato di averlo visto pasteggiare a whisky prima di uno spettacolo (che si sarebbe tenuto al pomeriggio).
La scintilla con le persone normali, della strada, magari gli ultimi – che condividevano gli stessi problemi e stati d’animo – è stata una naturale conseguenza.
Ligabue è esploso nel decennio successivo.
E’ stato l’autore di un rock più didascalico, dai suoni semplici ma comunque graffianti ed accattivanti (perlomeno nei primi album).
Si è inserito nel solco lasciato tra la musica sfacciatamente ribelle dei Litfiba e quella melanconicamente contro del Vasco stesso.
La sua immagine risultava fresca:voce grossa,look vagamente indiano,stivaletti,capello lungo (e un pò bisunto) ma con un sorriso coinvolgente da bravo ragazzo che lo faceva piacere sia alla figlia che alla mamma.
Rochettaro si, maledetto no.Questo suo ecumenismo diventerà un tratto distintivo, un suo stilema.
Il trionfo, poi…Un’argomento che costantemente anima le discussioni degli appassionati è capire quando un artista abbia perso la propria vena creativa.
Tutti i cantanti hanno il loro album capolavoro, bisogna poi capire come gestiscono i successivi.
Per Ligabue questo ha coinciso con Buon compleanno Elvis del 1995 la cui hit Certe notti per ammissione dello stesso cantante correggese “Non mi ha più permesso di fare certe notti”.
Dopodichè un’involuzione che lo ha portato allo straniamento di se stesso.
L’aria sempre più nazionalpopolare,da rocker edulcorato per ampliare i consensi, un Bruce Springsteen de noantri.
Se indicare la magnum opus di Vasco è più complicato si può invece asserire che l’ultimo grande album del Blasco è Nessun pericolo per te datato 1996.
Quelli successivi, se non fossero stati targati Vasco Rossi, sarebbero passati nel dimenticatoio, pieni di “oohh” e “eehh“.
Il cantante di Zocca ha faticato a mantenere così a lungo la propria iconografia.
Quando le candeline sono 60 il rischio di diventare caricaturali è alto.
Parimenti un Vasco più riflessivo è meno credibile, dopo che per tanti anni è andato al massimo.
Le sclerate degli ultimi anni (difendibili come una gaffe della Fornero) tradiscono forse questa contraddizione d’animo (e qualche effetto collaterale di sostanze varie).
Se un’alieno scendesse sulla Terra ed ascoltasse un’intervista di Vasco Rossi – con i suoi “cioè” e “capito” usati come il sale in cucina – difficilmente crederebbe che lo stesso possa aver scritto certi gioielli.
Luciano Ligabue sotto questo punto di vista è decisamente più ammaliante, si lascia decisamente ascoltare.Con il rischio però di tracimare e diventare un predicatore.
Un rischio alimentato anche dalla sua agiografia, fra libri,film e mega-concerti autocelebrativi (alcuni ottimi altri decisamente infelici).
Per entrambi la sintesi migliore viene del mitico Sabba “Ma quando ascoltano le loro ultime canzoni si piaceranno?”