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Ipocrimania, mitocrisia

11 Dic

La nuova frontiera per apparire accoglienti, tolleranti, inclusivi, civili e democratici (che bello essere CIVILI e DEMOCRATICI!) si sintonizza nell’inventare una rantumaglia di iniziative e battaglie a dir poco patetiche, fanno venire in mente quel secchione che si inventava chissà cosa per impressionare il nuovo Prof (cioè per apparire l’invertebrato che era) o quelle periodiche gare per il più bigotto della Parrocchia, solo che qui subentra una ricerca ossessiva di argomentazioni pompose nell’aspetto ma flaccide di contenuti, anzi, infide.
Parità di genere, ecologia, minoranze presunte o esistenti, discriminazioni vere o inventate per nasconderne altre: ormai c’è un fiocco, uno slogan, un simbolo, una recita e una giornata dedicata a tutti, peccato che nelle altre 364, di giornate, gli organizzatori di questi teatrini vomitevoli non muovano un dito in favore di nessuno, anzi, il più delle volte la principale causa delle disgrazie di tutte le attenzionate categorie è la loro struttura, visto che è un’emanazione del capitalismo liberista. Attenzione, perché se alcuni dei temi affrontati in queste baggianate planetarie sono delle autentiche boiate- tipici di chi è un po’ annoiato ed il suo unico cruccio è creare un ruffiano fumo per gli occhi che garantisca visibilità e seguito – ve ne sono altri di estremamente seri, ma sono esibiti per intenerire, lobotomizzare e fregare il popolino (a sua volta animato da intenzioni che tornino buone) e meriterebbero quindi ben altri attivisti di quelle ghenghe che invece detengono il monopolio della solidarietà. Queste saghe dei buoni sentimenti costruiti a tavolino negli effetti non si discostano molto dal gioco delle tre carte, hanno solo la faccia un po’ più presentabile, ma neanche tanto a guardare bene.
Più la gente fa a gara a partecipare a queste messe in scena, a sbattersi per mettere il like per prima, a condividere messaggi lagnosi talmente sdolcinati che rischiano di far venire il diabete anche al tavolo in cucina e a postare la nuova suggestiva immagine che qualcuno ha ideato per loro, e più i beneficiari di queste campagne sono rimasti perlomeno nelle condizioni di prima.
Perché la loro non è filantropia, è marketing; non è umanità, è manifestazione di potere; non è sensibilizzazione, è stordimento; non è socialità, è sociologia; non è difesa dei più deboli, è controllo delle masse; rappresenta la nuova ortodossia liberale dei diritti civili che ha l’obiettivo di distrarre da quelli sociali e da tutto il mare di povertà e catastrofi che sta producendo il modello liberal-progressista (quello CIVILE e DEMOCRATICO).
Si vuole coprire il male esistente con dell’artefatto amore per i disagiati, ma solo quelli più fotogenici, invece alle numerose vittime meno appariscenti del democraticissimo capitalismo globale non è dedicata alcuna giornata, neanche una mezz’oretta.
Spiacenti, fate poco audience e smuovete pochi sostenitori.

Il tipo che disse che una disgrazia non viene mai sola avrà anche portato un po’ sfiga, ma qualche intuizione l’aveva, occorre dargliene atto. Sì perché accanto alla profusione di retorica ed ipocrisia descritta sopra – da sola in grado di affossare il sistema biliare di un adulto di sana e robusta costituzione – si affianca una nuova categoria di addetti all’informazione con lo scettro di veicolare i messaggi, forse proprio nuova del tutto no, più un’evoluzione delle precedenti: il mitomane.
Nella liturgia per officiare il potere il mitomane ha capito che può ritagliarsi una parte da attore protagonista, siccome quelle iniziative sono una evidente presa per i fondelli, il mitomane a cascata ha semplicemente proseguito senza soluzione di continuità e vuole farci un po’ di cresta pure lui.
Dato che il copione è standardizzato, lui punta sull’interpretazione: teatrale, sforzata, ridondante, eccessiva, melodrammatica, con moine che si alternano ad istigazioni e manfrine che sconfinano nel viscerale, per catalizzare l’attenzione e mostrare la sua luccicante autenticità.
Ovviamente artefatta.
Il mitomane trova un terreno fertile in quelle situazioni, ma dotato di inossidabile egotismo non si accontenta, è l’imprenditore di sé stesso -per utilizzare una delle frasi più inutili che esistano, proprio come il nostro – e si inventa ogni occasione buona per farci sapere che lui c’è.
Ci possiamo imbattere in lui nella carta stampata o nelle trasmissioni tv, sui social o in un libro, e purtroppo anche in più combinazioni; moralista e libertino, impegnato e leggero, politicamente corretto ma anche dissacrante, insomma, tutto, al bisogno. Nel mitomane l’unica coerenza è essere più appariscente possibile, la sola ideologia rimanere al centro dell’attenzione.
Esiste il mitomane specialista (si atteggia da super esperto) ed il mitomane prezzemolino (baccaglia su tutto e tutti perché lui è uno di ampia vedute) ma per entrambi esiste solo una cosa: parlare di sé stesso.
Dev’essere un residuato marcescente di infantilismo, quando la fantasia o la noia porta i bambini ad inventarsi amici immaginari e a proiettare sé stessi in mirabolanti avventure per poi raccontarle agli amichetti sperando che sgranino gli occhi. Il mitomane è rimasto così, un bambino cresciuto (male) e se già da piccoli i ballisti seriali erano fastidiosi figuriamoci quelli adulti.
Stiamo parlando del mitomane al maschile esclusivamente per regole grammaticali, la categoria è rappresentata da ambo i sessi, non possiamo sbilanciarci sulle percentuali o qualche mitomane potrebbe iniziare con la lagna delle quote rosa o con qualche intemerata di quella portata lì e bombardarci a ciclo continuo per una settimana.
Il mitomane non ha confini, né vergogna, in nome della libertà di opinione ci scaraventa la sua inutile prosopopea, se qualcuno osa criticarlo – magari per il ventiseiesimo argomento trattato in una settimana e tutti con fare da luminare, oppure per l’inconsistenza dello stile e dei contenuti messi in campo esclusivamente per farsi notare – lui dall’alto del suo piedistallo (ovviamente auto-costruito) tenta di convincere il dirimpettaio a colpi di vittimismo mischiato ad arroganza e supponenza, non cita le sue conoscenze, il suo sapere, cita sé stesso, anche solo il nome.
Al mitomane piace sentirsi chiamato.
Al mitomane piace chiamarsi.
Eroe di battaglie immaginarie, protagonista di aneddoti onirici, tutte le sue proiezioni ortogonali tendono ad un unico punto, il suo, non ama l’approfondimento autentico, ma solo quello pretestuoso, perché ama approfondire solo ciò che lo riguarda servendosi del resto, il mitomane non di rado osa arrivare a definirsi modesto (una evidente meta-dichiarazione) ed esaltare il lavoro di squadra così da esaltare sé stesso.
Arrivista di prima categoria, opportunista semi-mascherato, non si fa scrupoli a sfruttare le disgrazie altrui, salvo criticare gli altri se si comportano esattamente allo stesso modo. Sfoggia una saggezza che ovviamente non ha, si vanta di aver vaticinato eventi di cui ha sbagliato le previsioni, raggiunge l’apice della lucidità quando utilizza il senno di poi (senno altrui, oltretutto).
Poco talento (inutilmente ostentato), poche idee (inutilmente sbandierate), poche intuizioni: il mitomane si atteggia come se ne avesse invece un magazzino pieno e potesse persino fare consegne a domicilio, tanta è l’abbondanza.
Rabdomante di occasioni per parlare di sé anche quando l’argomento è la Guerra dei Trent’anni, è un onanista di sé stesso, irreversibilmente malato di protagonismo, se abbiamo dei dubbi su quale termine rappresenti meglio la sua distorta personalità fra narcisista, egocentrico ed egoista , col mitomane possiamo eliminare l’imbarazzo della scelta ed usarli anche tutti assieme senza rischio di sbagliare diagnosi, l’unico rischio è di scordarne altri.
La sua è una categoria che non conosce il calo demografico e disgraziatamente il mitomane sta diventando l’idolo di quelli che ritengono di avere una vita culturale attiva e anche di quelli che vogliono replicare il suo approccio ad altri contesti, e sta diventando il modello per coloro che ambiscono ad un ruolo simile al suo.
La figura del mitomane si sta diffondendo anche in altri settori, una logica conseguenza di un modello di società che premia chi riesce a vendersi meglio e per primo, e nella fretta non sono richieste particolari qualità, anzi sono vivamente sconsigliate eccetto quelle di imbonire e stupire a seduta stante.

Il mitomane è il frutto di una dubbia e complessa paternità, è il classico concorso di colpa fra una società sempre più permeata sul sensazionalismo, sullo smodato protagonismo, sul massimizzare, sfruttare ed esasperare ogni cosa, che si erge su un’informazione pacchiana e destabilizzante, ma anche su persone evidentemente predisposte a comportarsi in quel modo e che trovano lì il loro habitat naturale.
L’unica arma che abbiamo per combattere il mitomane è non cagarlo proprio.

La prova di traduzione

21 Nov

Università della Strada
Facoltà del Libero Pensiero
Sessione d’esame Dissidenza Attiva 1

“Avanti il prossimo”
“Buongiorno”
“Buongiorno a lei, prima di passare alla prova mi permetta un doveroso cappello introduttivo visto che sostenere questo esame è un primo traguardo per raggiungere altre mete: avrà notato – e vedo con piacere che è in pari con gli esami – che in questa facoltà non vogliamo formare degli specialisti ma degli eclettici, che cerchiamo di instillare il seme della diffidenza alla versione ufficiale e soprattutto che miriamo ad emancipare le persone da dogmi, precetti, tifo e restrizioni che ne limitino l’onestà intellettuale”
“Certamente, l’ho scelta proprio per questo”
“Mi compiaccio; bene, il test di oggi verte sulla lingua inglese, sull’egemonia culturale e financo sulla sociologia di massa: mi deve tradurre la locuzione Black Friday
“CAGATA PAZZESCA”
“Complimenti, lei ha superato l’esame con il massimo dei voti”
“Grazie”
“Hanno proprio rotto i coglioni, eh?”

Dedicato a te/5

26 Apr

(Dedicato a te è un periodico sfogo, un balsamico travaso di bile che avrà per destinatari sia i massimi sistemi sia il particolare.
Lo stile sarà volutamente scarno, asciutto, anche volgare, gli approfondimenti ed i ricami cerco di metterli in altri lavori)

Oggi parliamo di te, del tifoso, che trafelato come sei ad elaborare e riordinare giornalmente il tuo unico impegno, scommetto che non ti sarai mai chiesto perché l’origine etimologica della tua ragione di vita, il tifo, coincida con una malattia altamente contagiosa che produce eritemi, eruzioni, meningismo, inappetenza, ulcere, diarrea, delirio, e che può portare a gravi complicazioni fino alla morte.
Non te lo sarai mai chiesto, ma vedi, le parole non sono mai casuali come è invece la tua vita – loro, le parole, un significato ce l’hanno sempre – e allora te lo dico io: perché sono grossomodo gli stessi effetti di cui soffri tu e che provochi anche agli altri.
Oggi farò tutto io, domande, risposte, analisi, spiegazioni: è inutile scomodarti in attività cerebrali per le quali non sei preparato, non vorrei che ti venisse la carne greve alle sinapsi o una contrattura alla corteccia prefrontale mediale.
O peggio ancora che scoprissi di possederle entrambe.
Eri in quarantena nel calcio (e difatti i sintomi della malattia si dividono in settimane, esattamente come il calendario del campionato che veneri come un testo sacro), e non contento dei danni prodotti lì, hai esondato invadendo tutto, non c’è nessun sistema immunitario che sembra arginarti.
In ogni settore c’è un tuo esponente, avete più copertura voi che una zona cablata con la fibra ottica.
E dove arrivi, infesti tutto.
Sei una sorta di Re merda, dove del Re ovviamente non hai nulla (se non l’arroganza), perché tu sei un servo.
E pure frustrato.

E non fare lo stronzo una volta tanto, non mi sto riferendo a chi mette anima e corpo per un hobby o un interesse, o di chi segue qualcuno o qualcosa con amorevole entusiasmo – queste sono attività sane – io sto parlando proprio di te, che adori solo i tuoi eroi ed irridi quelli degli altri, e che spesso hai per eroi personaggi che stonerebbero persino in un letamaio.
I greci quando parlavano di tifo intendevano l’offuscamento febbrile della mente, cazzo se erano avanti eh?
Lo posso giustificare da ragazzi, anzi a quell’età è quasi doveroso passarci, un sornacchio pacato, riflessivo e posato mi farebbe più paura.
Ma tu sei cresciuto – male, ma sei cresciuto – e sei rimasto più dogmatico di un Inquisitore del Medioevo, hai la stessa onestà intellettuale di una lattina di birra Peroni (vuota), adegui ancora il pensiero a ciò che tifi, non hai un tuo parere, una tua idea, una tua iniziativa, dipendi da una sola cosa, sei permeato da una cieca obbedienza, e siccome ci metti fanatismo come se piovesse ti credi uno scomodo, un ribelle, uno cazzuto, quando invece riesci a malapena ad essere un cazzone.

Ci si può emozionare, si può incitare, appoggiare, ammirare, soffrire, supportare,gufare, anche senza quella pletora di ragionamenti alla cazzo di cane di cui fai collezione tu.
Non sai che la mente si può allargare perché la tua l’hai serrata a chiave e l’hai fatta pure saldare, non sai che si possono apprezzare due, tre, quattro, ennesime cose assieme (anche in antitesi) senza rischiare la deflagrazione, come provare stima per un avversario o come ravvedersi dalle proprie convinzioni, sei all’oscuro (in tutti i sensi) di come l’eclettismo elevi l’uomo, tu forzato specialista invasato che da una vita ti abbuffi senza neanche assaporare quello che ti passa il convento.
Sopra al Mondo hai messo una coperta, ti sei limitato a farci un buco e a costruirci la tua vita intorno.
Discutere con te è inutile, non ti stimolerebbe nemmeno una scarica di elettroshok, se Socrate ed i suoi allievi ti avessero conosciuto non sarebbe nata la maieutica.
Sei un contoterzista del pensiero dotato della stessa credibilità di un oroscopo, possiedi infatti svariate enciclopedie di figure di merda.
Ti dipingi appassionato, ma di qualcosa calato sempre dall’alto: ti hanno detto che devi comportarti così, che devi reagire cosà e tu non sgarri di una virgola, devi farti piacere tutto e disprezzare quello dei nemici, quando magari il tuo inconscio vorrebbe il contrario, ma il tuo credo inflessibile glielo impedisce.
Accecato dai tuoi precetti quante cose ti perdi solo perché fanno parte dell’avversario, quanta merda che sei costretto ad incensare (e mangiare) solo perché la tua malattia te lo impone.
Denigri tutto ciò ti è altro, solo perché è altro, ma se domani l’altro diventasse roba tua ti metteresti a venerarlo rinnegando il passato, come scaricheresti al volo ciò che hai esaltato fino ad oggi nel caso inverso.
Tanto di memoria storica non ne hai mai avuta e di dignità ne hai forse sentito parlare una volta al bancone del bar.
Capendoci poco, infatti preferisti continuare a discutere con un tuo simile di una cagata a caso scelta dal tuo catalogo.

Quando penso al regredire della specie umana tu appari nelle parole suggerite.
Penso poi alla bellezza della vita, alla scoperta, al cambiamento, alla novità, all’apprendere, alla poliedricità, e vedo te che col tuo ghignone dall’espressione bovina che abbatti e demolisci questi aulici pensieri, soddisfatto che la società sia divisa ed etichettata in contenitori.
Se il Mondo sta diventando paranoico e schizofrenico è perché stanno usando (anche) te come sicario.
Ti hanno messo al guinzaglio e ti portano dove vogliono loro, ti tengono sempre sulle spine, ti dicono quando abbaiare e quando azzannare, te le fanno prendere, ti mettono nei casini, poi con un biscottino e due complimenti al “tifoso sempre presente!”, torni a credere di essere un protagonista e ricominci daccapo il giro.
Sei proprio un inutile idiota, digerisci di tutto, e fai vomitare gli altri.
Come sprechi l’esistenza.
Come sei comodo al sistema.
Come sei dannoso per l’umanità.
I vaccini, gli antidoti, i diserbanti, gli antiparassitari temo che con te siano poco efficaci, è per questo che nutro più fiducia in una vostra estinzione di massa.
E spero.

Maddecheao!

25 Mar

Eccola la nostra famigliola, un archetipo che lambisce più lo spot pubblicitario che il concetto arcaico di famiglia: mamma dai tratti gentili, sorriso luminoso, che deve infondere dinamismo ma anche arrapare un pò; papà dal viso rassicurante, uno che non sembra incazzarsi mai nonostante i mille impegni, e poi i bambini; oh,in ‘ste famiglie sono sempre maschio e femmina e biondo camomilla.
(Boh, che shampo useranno poi…)
Solo il cane non c’è, se no il quadretto sarebbe perfetto, ma solo perché è uscito a farsi una pignatta di cazzi suoi, povera bestiola ne ha bisogno, lunedì prossimo l’aspetta la prima seduta dallo psicologo per i canidi.
Depressione, si vocifera, la sua razza ne è predisposta.
In compenso c’è il nonno, anche se il suo tasso di partecipazione è paragonabile a quello di Edmundo alla causa viola durante il Carnevale ’99.
O così almeno sembra.
Non capita spesso che la famiglia sia riunita, difatti per l’occasione il papà sta leggendo fervidamente una rivista finanziaria, di quelle che non azzeccherà nemmeno una delle sue previsioni, cioè come tutte; la mamma sta guardando una roba inutile alla Tv ma è indecisa se cambiare e seguire una cagata colossale su un altro canale sempre a pagamento; il bambino è immerso nel suo videogame e la bambina è ipnotizzata sia dalla (seconda) televisione sia dal suo tablet, praticamente sembra un’epilettica inebetita, ma alla fine il tablet avrà la meglio e se la inghiottirà.
Il nonno dopo alcuni tentativi di fare qualcosa tutti assieme – efficace come vendere la braciola di maiale in Arabia Saudita – si è appisolato, attività decisamente più appagante in quel focolare.
La mamma nel suo zapping ossessivo-compulsivo arriva ad un programma d’inchiesta (esistono ancora) che a lei non suscita una grandissima reazione (d’altronde affronta temi scottanti) ma che ha il merito di risvegliare dal torpore il maschietto, segno che la lobotomia alla quale si era sottoposto è ancora interrompibile.
Lui difatti con la spigliata petulante naturalezza dei bambini chiede come mai lo Stato non possa stanziare fondi per i terremotati (che a lui sembrerebbe doveroso) e perché debba chiudere degli ospedali (che a lui sembra crudele).
Giusto il tempo di deglutire e rincara la dose con un suo particolare collegamento “E poi perché a scuola gli insegnanti ci dicono che non ci sono più soldi e ci fanno portare da casa anche la carta igienica?”
Il papà, fresco di lettura-studi, prende la parola col piglio di chi vuole educare ed erudire, chiosando uno stentoreo “Perché ce lo chiede l’Europa”.
Il bambino dopo lo sforzo a lui non congenito non se la sente di controbattere anche perché quella risposta l’ha sentita tante volte nei grandi ed il dubbio che non sia opportuno replicare gli viene, anche se la convinzione non capeggia in lui.
Il servizio alla TV intanto prosegue ed anche la bambina lancia un segnale di presenza delle sue sinapsi (evento non così scontato visto il suo recente doppio elettroshock) domandando il motivo per cui le aziende italiane siano costrette a trasferire all’estero la produzione o a chiudere costringendo le persone ad andarsene.
Lei non vuole perdere le sue amiche per questi motivi.
Stavolta è la mamma a prendere la parola, non vuole essere da meno nell’elargire banalità.
“Sono logiche di mercato, vero caro?” volgendo uno sguardo per catturare l’assenso del marito.
Logiche di mercato legate alla competitività ed al rapporto fra i ricavi ed costi che deve essere sostenibile, aggiunge pedante lui.
Non contento “Il Mondo in pochi anni ha accelerato alla velocità della luce e dobbiamo raccogliere queste nuove sfide, non temerle”.
La bimba, avendo compreso un decimo di quanto asserito dai genitori, si trova in quel limbo in cui non sa se rispondere con veemenza, stare zitta crogiolando i primi istinti di ribellione o lagnarsi dicendo Non è giusto alla risposta-supercazzola.
E’ lo stesso tempo che si interpone fra la botta ed il picco di dolore riveniente.
“Ma papà, che risposta è???” esclama esigente la piccola.
Non sempre chi dorme non piglia pesci, oppure dipende da come dorme.
Fatto sta che è il nonno a rispondere alla nipotina, lui che evidentemente ha seguito attentamente tutto lo strampalato tentativo di maieutica messo in atto dai genitori.
To ‘o dico io: na risposta der cazzo, ecco che è!
Un appoggio morbido.
Che prosegue.
Macche state a ciancicà?Maddecheao!!!’A loggica e ‘a sostenibbilità der mercato provate a magnalle!E dopo provate a spigne a vede che ce viè fuori! Ch’e vostre fregnacce nun rovinate li pupi, voi ormai ‘n ve se caga più niscuno, ma a ste du creature nun je fate er lavaggio der cervello, li mortacci vostra!
Il nonno non era così vispo dal 1988.
O dalla sua ultima erezione.
Che risale al 1988.
Uno dei due esterrefatti genitori abbozza un “Ma…”, solo che viene travolto da quel fiume in piena.
E mme sento dì: Ce lo chiede l’Europa?Si ce lo chiede vor di che c’ha ‘a voce, che è, na persona?Che cazzo è st’Europa?Eurpoa ‘n par de cojoni!Mo ‘a chiamo pur’io si c’ho bisogno: Europa, pijo 900 Euro de pensione e me servono ‘e medicine, damme quarcosa!Europa, me devo fa n’ecografia ma er Cuppe dice che ce vojiono 8 mesi o mezza capoccia, damme li sordi…Vedemo se me risponne…
Ancora.
Io conosco er macellaro, er fruttarolo, er dottò, er cravattaro, a Madama e ca mignotta che batteva qui sotto, ecco si c’hai ‘bbisogno loro li puoi da chiamà, epprova te a chiamà l’Europa
I due fratellini sono alla sesta ola più tuffo carpiato dal comò al divano, paparino e mammina invece annaspano inesorabilmente e quasi rimpiccioliscono.
Mo sai che faccio, vado en giro pe’ mmondo a chiede de damme quello, de fà querrarto e je dico che sò obbrigati sò, che ce ‘o chiede sta ceppa de cazzo, vojo provà…
Non ancora pienamente soddisfatto l’ultra ottuagenario sovversivo chiude con un finale che riesce ad essere teatrale e filosofico.
A fii ‘bbelli, ve state a ingrifà pé na cosa che ve sta a rovinà, me sembrate er cane de Mustafà, quello che ce l’aveva ‘nder culo e diceva che stava a scopà…
I due bimbi hanno trovato il loro nuovo idolo, i genitori invece stanno sfogliando nervosamente la rivista in cerca di argomntazioni per smentire quelle empie frasi pronunziate da un classico populista oltranzista.
E sfoglieranno per un bel pò.

Piatto ricco mi ci ficco!

30 Nov

L’estrema provincia fa comodo all’evoluta ed emancipata città perché catalizza su di sé tutti gli stereotipi comportamentali che invece i cittadini proprio non possono (né devono) indossare, pur avendoli nell’armadio a far compagnia agli scheletri.
Cavalcando l’ignominioso provincialismo la città si lava la coscienza e trova un capro espiatorio quando invece dovrebbe specchiarsi per vedere se stessa in una declinazione solo meno numerosa.
Tante fenomenologie si rifanno ad un’unica matrice che cataloga, indirizza e divide le masse per mantenere se stessa.
Città; provincia; poco cambia e non fa eccezione il paese del nostro racconto, dove se volevi mettere i piedi sotto una tavola che non fosse quella di casa, la scelta cadeva su due ristoranti.
Il primo era quello storico, un po’ più grande, con qualche coperto in più e brandiva ancora lo scettro della categoria; il secondo, sorto in realtà poco dopo, lo insidiava da molto vicino e nel corso degli anni non erano mancati passaggi di consegne su chi dovesse rappresentare l’arte culinaria dei dintorni.
I frequentatori tenevano un approccio settario: chi mangiava nell’uno non metteva piede nell’altro.
Ognuno tesseva le lodi del proprio e soprattutto enfatizzava i difetti altrui.
Veri, presunti od inventati che fossero.
Detto da terzisti di comprovata fede, non si era mai mangiato benissimo nei due locali, perché se aspettate gli adepti quelli non ve lo diranno mai nemmeno sotto tortura a digiuno forzato.
Anzi, loro portavano avanti indefessi un’attività di propaganda in tutte le salse.
Compreso un Trip Advisor ante litteram.
La qualità, che nella sua interezza aveva fatto raramente visita nelle due cucine, stava ulteriormente scemando ma i commensali vedevano questa tendenza solo nel ristornate a loro inviso.
Ognuno criticava gli aficionados dell’altro, li derideva, li denigrava arrivando a partorire congetture e sillogismi da far impallidire la corrente conservatrice della Santa Inquisizione.
Agli astanti o a qualche anima ancora scevra dal fanatismo che si voleva addentrare nel ristorante nemico si paventava pessima cucina, locale sudicio, servizio squallido e pure il rischio di contrarre malattie infettive e veneree (nel dubbio meglio sempre esagerare).
Chiamiamolo manicheismo gastronomico.
Gli screzi non mancavano, i colpi bassi neppure.
Dove c’è fideismo c’è un cambio di casacca, tanto qualcuno o qualcosa da venerare lo si trova ovunque.
La scena si svolgeva così: il convertito – per scelta (quindi dietro pagamento) o per vocazione (quindi per tornaconto) – rinnegava ciò che lo aveva concupito fino al giorno prima e buttava anima e corpo nella nuova professione di fede.
Il nuovo arrivato era il vessillo da sventolare per vellicare il resto della truppa.
Anni fa nei due locali c’era una discreta scelta, perlomeno come numero di piatti, perché il sapore si rifaceva tutto ad un qualcosa di comune.
Ti sembrava di poter scegliere una pietanza sempre diversa, ma in fin dei conti mangiavi sempre la stessa roba o quasi.
Si stava meglio quando si stava peggio vale anche nel nostro paese di provincia ed ecco che la varietà delle due cucine – invero mai irreprensibile, lo avrete capito – registrò una frenata.
Come sempre i fedelissimi armati di forchetta stigmatizzavano le ristrettezze dei rivali, non di rado visitati con prezzolati clienti-spie.
Qualche temerario del libero pensiero, sottovoce anche con se stesso, rimpiangeva i tempi di dieci anni fa, tempo in cui rimpiangeva i dieci anni precedenti, ma proseguiva fieramente ad ingurgitare tutto quello che gli veniva propinato e i suoi pensieri così stupidamente corsari venivano immediatamente riassorbiti perché così si doveva fare.

Una spiegazione che avrebbe fatto ribellare anche Ken di Barbie, quindi nessuno di loro.
Improvviso come una nuova accisa sulla benzina, il menu del giorno coincideva col menu della settimana che proseguiva identico per tutto il mese.
Un mono-menu.
Già, perché il primo ristorante, in bella vista nella locandina, proponeva un piatto di merda.
Mentre il secondo ristorante rispondeva con un piatto di vomito.
chiosava inutilmente tronfio il cuoco della seconda trattoria.
facevano eco i titolari della prima trattoria con dosi di alterigia ben oltre i limiti del compatimento.
Ovunque si tentava la difesa tanto disperata quanto pacchiana del proprio menu con dei comizi vergognosamente ineffabili.
“Ragazzi il momento non è facile, ma non esiste niente di più sgradevole ed insopportabile del vomito, non oso im-maginare che sapore possa avere. È’ decisamente meglio un bel piatto di merda. Che è il risultato finale della dige-stione, ovvero un processo assolutamente naturale da cui noi ripartiamo.”
Specularmente nell’altro risto-horror qualcuno che aveva dimenticato il cervello da piccolo (e la dignità appena dopo) si barcamenava in tesi altrettanto ardite.

Lo straniamento del genere umano era diventato realtà perché nella folla di palati fini lo stupore durò lo spazio di un tentato ragionamento (praticamente è più lungo scriverlo), poi prevalse l’obbedienza che si confà ai servi.
Senza costrizioni, non occorrevano.
A vederli tutti adunati nella sala nessuno avrebbe detto cosa gli stessero servendo.
C’erano le tavolate delle grande occasioni (e la relativa smania di chi è ancora in fila), quel vociare in sottofondo, fastidioso ma gioiosamente rassicurante, il via vai di gente fra i tavoli.
Tutti indossavano la bramosia di chi sta per andare a mangiare da Bottura o comunque tenevano ben salda la convinzione di essere nel migliore dei ristoranti possibili.
Sembrava l’archetipo della perfetta serata gastronomica, era solo uno distorto ed angosciante simulacro.
L’odore delle pietanze era violentemente impregnato ovunque, nei mobili e nelle pareti, talmente forte che una persona normale l’avrebbe non solo sentito, ma anche visto.
Con le sembianze di uno spettro che raduna i disperati per il viaggio di sola andata.
Un tanfo così ripugnante si poteva trovare solo nelle favole sull’Inferno e sembrava il biglietto da visita della fine del Mondo.
Gli invitati per tutta risposta fremevano rutilanti sperando che la loro porzione fosse la più abbondante possibile.
Se avessimo bisogno di un’istantanea per descrivere l’assurdo, vedere dei cuochi e poi dei camerieri preparare e sballottare quelle schifezze sarebbe l’icona perfetta.
Appena le sostanze organiche venivano appoggiate sulla tavola i buontemponi impalavano rispettivamente merda e vomito al ritmo di una ruspa da cava.
Un brusio acciottolante, unito ai grugniti che produce una bestia affamata, tradivano la loro spontanea ingordigia.
Anziché bestemmiare, stramaledire l’Universo,menare qualcuno o sfasciare tutto, facevano la scarpetta in segno di gratitudine ed accondiscendenza, e nondimeno ordinavano solerti e quasi elettrici un altro piatto con ancora il contenuto in bocca.
Dalla voracità con la quale si introducevano quello che sappiamo, schizzavano nella faccia, nei capelli e sui vestiti (propri ed altrui) piccole manciate delle rivoltanti pietanze.
Un dettaglio che in altri contesti avrebbe procurato sicura onta, in quel girone dantesco nemmeno le più pignole dicevano bau.
E proprio vero che le persone si devono prendere per la gola, visto che anche i più inguaribili inappetenti si erano trasformati in convinti bulimici.
Solo i bambini, guidati dal loro salvifico istinto, si ribellavano come potevano, cioè piangendo e cacciando strazianti urla, coi genitori che non si capacitavano di una simile reazione ed arrivavano a redarguire, prima, e minacciare ed aggredire, dopo, i propri pargoli.
I bimbi ormai angosciati per l’apocalisse che avevano intorno e per la malvagia severità di mamma e papà ad un certo punto furono completamente ignorati dai genitori, che fra i propri figli e il menu scritto nella pietra avevano scelto quest’ultimo.
La merda ed il vomito come un uragano avevano invaso e sbriciolato quel poco di anima rimasta in ognuno dei convitati.
In maniera irreversibile, niente sarà più come prima.
In contemporanea dalle due rinomate trattorie si alzava lo stesso acuto commento “Tanto catastrofismo per nulla! Noi siamo fortunati a venire qui a mangiare…Fosse sempre così la crisi…”
Forse l’ideologia sazia lo stomaco, di certo (a)varia il gusto e guida le inermi masse, perché nei due ristornati non si facevano tanti coperti da quando l’economia tirava per davvero.
Il giorno che segue una baracca è sempre tempo di racconti epici, di momenti da immortalare e da rivivere, la gioia del ricordo si mischia alla malinconia e a qualche goliardica esagerazione.
“Alla fine ne ho mangiati sei di piatti…”
Nell’angolo più recondito della propria dignità si trovava il coraggio di schernire l’acerrimo nemico dai gusti culinari differenti aggiungendo all’inseparabile ortodossia un’inutile vanagloria “Guarda un mangiatore di merda! Il cesso è in fondo a destra!”
“Mi viene da vomitare! Così dopo puoi mettere qualcosa sotto i denti!”

L’aria del paese era satura di desolazione ma gli abitanti erano tutti eccitati per avere toccato il fondo.
Non ancora soddisfatti si misero a scavare.

Tu chiamali se vuoi… situazionisti

27 Dic

La politica in sé e per sé non meriterebbe commenti per evitare di darle anche un solo anelito che possa non dico fortificarla, ma pure mantenerla in vita.
Ma queste due storielle permettono di identificare i due architravi che ancora la sostengono: certi elettori e certi intellettuali (elettori pure loro).
Ed entrambi tifosi.

Storiella 1
C’era una volta un fiero (e anche un pochino altezzoso) elettorato che da qualche anno masticava amaro per la presenza di un pericoloso energumeno al Governo.
(Che in realtà si trovava al Governo anche perché i partiti di quell’elettorato erano bellicosi solo nei talk show.Siete già confusi eh?Ed il bello deve ancora venire).
Quell’elettorato per prima cosa si chiedeva come un tipaccio così smaccatamente impresentabile potesse ricevere tanti voti.
Dubbio lecito, tant’è che l’altro elettorato (del pericoloso energumeno, intendo) soffriva di un’evidente nicodemismo:a parole nessuno o quasi lo votava, dentro la rassicurante cabina elettorale qualcuno di più.
Torniamo al nostro, di elettorato, che era giustamente preoccupato: la storia, la loro storia, gli aveva insegnato di diffidare di questi personalismi della politica.
Oddio, anche loro avevano avuto i loro “personaggi” forti, ma dalle quelle parti – sostenevano – c’era partecipazione, preparazione e senso democratico.
E allora giù in piazza a far battaglie contro l’abolizione all’articolo 18, contro l’appropriazione indebita dell’apparato istituzionale, contro l’occupazione dell’informazione, contro la mignottocrazia, contro l’aziendalismo e la mercificazione della politica, contro i tagli lineari (ripetete con me:lineari) alla scuola, alla sanità, agli enti locali, alla giustizia e alle forze di polizia.
Cazzo, si dirà, ma quello di prima era proprio un pazzo scellerato.
Mica finita, i nostri elettori schiumavano di rabbia per tante leggi ad personam e per quelle bavaglio per bloccare magistrati e coraggiosi giornalisti e financo per vedere un Parlamento di nominati (quando andava bene) e pregiudicati (l’immunità a loro serviva per davvero).
Avevano come l’impressione (avevano) che gli interessi del Paese e dei loro cittadini (quelli normali) non li curasse nessuno.
Ma dopo un pò (sorvolando sui metodi o sarei più logorroico di Furio in Bianco rosso e Verdone) al potere ti arriva un tipetto che pensa di risolvere tutto lui a colpi di PlayStation e di slogan da venditore anni Ottanta di enciclopedie, uno di quelli che avrebbe solo potuto fare fortuna in politica e che anche senza essere seguaci di Cesare Lombroso già alla prima occhiata (ma anche alla terza) sembra comportarsi esattamente come chi l’ha preceduto.
La stessa mistificazione della realtà e le stesse balle sesquipedali, proferite solo con la metà degli anni rispetto al predecessore/padre putativo.
Osservandolo meglio si nota addirittura che laddove il ducetto vecchio aveva fallito, quello giovane (di fatto un suo surrogato, un epigone al metadone) riesce a portare a compimento le sue porcate, grazie ad un’iconografia mendacemente fresca ed innovatrice a ad una stampa così servile che certe lisciate di pelo e leccate di culo non si ricordano dai tempi del Ventennio.
Il Bruto era stato costretto al suo ingresso in politica esclusivamente per difendere i cazzi propri e per pararsi il culo e già che c’era, con quello che rimaneva, dava una mano al Sistema Dominante.
Quello nuovo invece pare completamente intriso dalla smania di comando, fattispecie che lo conduce dritto dritto nel palmo del Sistema Dominante.
Il vecchio arnese un giorno davanti allo specchio – mentre si faceva la tinta con l’asfalto drenante si iniettava del Saratoga sotto la borsa degli occhi (ed anche sotto la borsa) – esclamò “Ma fosse arrivato prima, fa quello che voglio io e non devo neanche più sbattermi, alla mia età.Certo che le racconta grosse pure lui, ahahah!”
L’elettorato è stato folgorato dal nuovo che avanza (che di nuovo può avere al massimo i calzini o qualche acconciatura) e il suo messianismo è stato nutrito e solleticato a dovere.
Si sono visti numerosi travasi dall’altra tifoseria: quando per anni si è stati abituati a venerare l’omino al Governo si sente il bisogno di continuare nell’opera della propria professione di fede.
L’immagine è lassù, luminosa tanto da produrre un riverbero, di più, una scia luminosa: ha le sembianze del nuovo Premier che parla alla Nazione (col rapporto di due cazzate ogni parola) ma in realtà è un immagine simbolica, una rappresentazione del Potere.
L’agognato Potere.
Non si criticava l’avversario in quanto tale ma per la sua posizione (invidiata) di dominio.
Non era un problema di idee e valori (assenti prima come adesso), ma di uomini e di partito.
Quello che prima spaventava ora rasserena.
Ciò che ripugnava ora inorgoglisce.
Quelli di prima truffavano, quelli di adesso chiedono dei sacrifici per il nostro futuro.
Se prima era svolta e deriva assolutistica, adesso è balsamico decisionismo.
Se prima erano tagli (lineari,ricordate?) ora sono ancora tagli (e sempre lineari), ma dalla regia dicono per combattere gli sprechi (oltre al Governo vi sarete accorti che sono cambiate anche le regole della semantica).
Qualche promessa elettorale (chiaramente irrealizzabile, se no che promessa elettorale sarebbe?) detta al posto giusto nel momento giusto, una compilation di supercazzole prematurate inneggianti all’happy ending ripetute h24 ed un’immagine un pò meno criminale et voilà, guarda come ti migliora l’umore dell’elettorato.
Ecco, solo quello, perché il resto rimane tale e quale (i miracoli veri non li fa nessuno).
Il loro oppio è diventato l’ottimismo, il nemico della Patria chi emana pessimismo e negatività (cioè osa ragionare col cervello acceso).
Adesso lo so che qualcuno di voi si sarà fatta l’idea che le persone descritte non sono altro che dei servi di partito ammaestrati, gente che intellettualmente e moralmente non merita alcuna stima.
E vi dò ragione.
Perché è esattamente quello che penso io.
In molti casi non sono delle cattive persone, ci mancherebbe.
Ma il rispetto va meritato.

Storiella 2
Come dev’essere un intellettuale?
Libero, coraggioso, non organico, profondo.
Cosa deve fare?
Stimolare e mettersi in gioco, raccontare il bello e soprattutto il brutto, andare oltre, anticipare, intuire (prima degli altri), trovare le cause ed i rimedi, aprire la mente al suo pubblico.
Pungolarlo e provocarlo, quel pubblico.
Pasolini si autodefiniva comunista (ma qualsiasi etichetta evapora al cospetto del suo genio), eppure il PCI ed il tessuto sociale che lo contornava erano tra i primi destinatari delle sue invettive (Valle Giulia è la più famosa e insieme la più strumentalizzata, ma l’elenco è decisamente nutrito).
Gaber era un acutissimo anarcoide apolide pure lui della catalogazione, tendenzialmente con affinità a sinistra, peccato che in Polli d’allevamento (smaccatamente, prima in forma più composta) esondò tutta la sua nausea per quello che era divenuto conformismo, vomitando in faccia al suo pubblico che tanti di loro lo avevano stufato e che non gli piacevano più (eufemismo, il Signor G era giustamente molto più violento).
Ed erano gli anni Settanta, gli anni dell’ideologia, dell’appartenenza, dell’essere obbligatoriamente ed inevitabilmente schierati, anche e soprattutto da parte degli artisti.
Montanelli invece era un uomo di destra (di quella destra che forse non è mai esistita e mai esisterà), ma quando Berlusconi decise di prendersi l’esclusiva dell’elettore conservatore lui esercitò la clausola del diritto di recesso affermando “Se vince Berlusconi la parola destra diventerà impronunciabile nei prossimi 50 anni per motivi di decenza”.
Non cadde nel sofisma di dover accettare aprioristicamente l’autoproclamata leadership del Cavaliere sulla destra italiana.
Tre intellettuali che criticavano anche ciò che teoricamente gli era affine.
Tre intellettuali, appunto.
Il passaggio di consegne tra il vecchio affabulatore ed il nuovo imbonitore ne ha smascherato altri di (presunti) intellettuali, relegandoli alla categoria dei cortigiani.
Il loro pedigree à la gauche gli ha sempre permesso di godere di un credito spropositato, ma adesso i nodi vengono al pettine.
Per andare al comando si sono fatti piacere “la sinistra che sa vincere”, dove la parola chiave della frase è vincere, mentre quella fuoriluogo è sinistra.
Urlavano tutto il loro livore ed il loro astio contro chi voleva sfasciare “la più bella Costituzione del Mondo” (e le cose belle non si devono sfasciare) ma ora è il loro silenzio ad essere assordante, visto che hanno pensato bene di sparire, di nascondersi o di sorreggere la propaganda dei nuovi quarantenni al comando.
Che ci sono quasi riusciti a sfasciare quella Costituzione (fra una pletora di altre disgrazie).
Delle due l’una:o mentivano prima o sono codardi adesso.
La lingua di questi camaleonti opportunisti un tempo era petulante e corrosiva e si divertiva a seminava irriverenza al potere costituito(si), ora lascia solo tracce di bava e saliva.
Il loro senso critico e la loro vena artistica si sono sopite come le loro battute, ora declinate in sermoni e intemerate degni di bolsi soloni.
Hanno la coscienza politicizzata, pur di vedere issata la bandiera coi colori giusti (ma coi valori sbagliati) hanno barattato ciò che un libero pensatore non dovrebbe mai cedere:l’onestà intellettuale.
Un tempo erano incendiari, ora girano con l’estintore a caccia di fiammiferi accesi e per spegnere i propri rigurgiti rivoluzionari (possono stare tranquilli, quindi) o qualche frase scappata in un lapsus freudiano in ricordo dei bei tempi che furono.
Con un indomito spirito battagliero (prima) – refrattario a qualsiasi critica e protetto da una superiorità morale autoreferenziale – non volevano spodestare il vecchio padrone, ma solo sostituirlo.
Con il loro, peraltro in una versione decisamente sottotono.
Così sottotono da assomigliare tremendamente a quelle losche figure che negli anni d’oro additavano come nemico o male assoluto.
Chissà cosa avrebbero detto, gli intellettuali della (fu) intellighenzia, se si fossero visti in questa edizione anche solo una ventina d’anni fa.
Chissà in che modo si sarebbero contestati.
Chissà quanto si sarebbero vergognati.
L’acqua che non si vuole bere ci si affoga dentro, recita un vecchio adagio.
Loro stanno bene, perché quell’acqua adesso li nutre e li rinfresca.
Ad affogare è stata solo la loro credibilità.
E pare che l’abbiano sacrificata senza troppi rimpianti.

Attenti a quei due

13 Dic

Questi due sono considerati soggetti altamente pericolosi e nocivi per la società.
L’etichetta è stata marchiata a fuoco dal solerte Ministero Globale per il Rincoglionimento del Suddito Cittadino, una sorta di Min.cul.pop un po’ meno fanatico ma più globalista.
L’ultimo capo d’imputazione che ha fatto scattare l’atroce sentenza è di quelli ineluttabili: i due reprobi, in maniera sistematica e continuativa, utilizzano contemporaneamente entrambi gli emisferi del cervello, decidono sistematicamente in piena autonomia ed osano impunemente cambiare opinione.
D’accordo, aver sottoscritto l’abbonamento alla Juventus nella stagione 2009/10 non ha migliorato la già problematica situazione, ma qualche scheletro nell’armadio chi non ce l’ha?
D’ora in avanti sulle vetrine dei negozi e accanto alle casse dei bar troverete la foto segnaletica di Cristian M. detto anche il Marti e di Daniele C., per tutti Lele.
Il nutrito dossier dei Servizi Segreti che li riguarda (nome in codice Matash) per buona parte è stato misteriosamente ritrovato alla curva della Botte.
Qualcuno sospetta un’attività di controspionaggio del famigerato Agente Apripiscta, la cui identità è ovviamente top secret (si sa solamente che porta i baffi e che parla con uno strano accento).
Spulciando quei documenti emergono i tratti salienti di questi due indomiti sovversivi.

Il Marti
Passionale da sempre con tutto e tutti, negli anni che furono estese lo stile Dolce Vita anche all’arredamento di casa sua.
Non era raro intravedere in giro per locali il suo divano adornato con sei/sette pashmine (ovviamente fregate a Cristian) fare incetta di aperitivi e contornarsi di belle ragazze.
Solo che a causa dei troppi aperitivi le belle ragazze sparivano e avevano pure il coraggio di lamentarsi se poi non trovavano da sedersi.
Ingrate.
Riferendosi sempre a quel periodo da vitellone, la pettegola del suo palazzo (nessuno la conosce, ma c’è sempre una pettegola nel palazzo), insiste ancora oggi di averlo visto sedurre la sua lavatrice giungendo a rapporti non protetti da anticalcare.
Altri tempi, le cose sono cambiate (e in meglio) anche per lui, mentre non si può dire lo stesso per la lavatrice, visto che nel frattempo è finita in una discarica.
Sedotta e abbandonata.
Nuovo ruolo, nuove priorità, nuova vita insomma, ma per fortuna non ha perduto la balsamica voglia di ridere, di approfondire, di farsi serio e di andare in matana.
Anche nella stessa giornata.
Non dobbiamo poi dimenticare che tutte le crisi diplomatiche degli ultimi ventinove anni sono state provocate dalle sue imitazioni, a cui si debbono aggiungere tre divorzi, una dozzina di licenziamenti e due conversioni (della stessa persona, andata e ritorno).
Cristian è da tempo immemore che prende in giro la collettività con dei tormentoni, veri o presunti.
Lo fa perché in lui c’è uno psicologo latente (e abusivo) ed anche perché le sue vittime si meritano questo ed altro.
In realtà qualcuna, furtivamente, si ribella e gli attacca delle pezze secolari, ma a lui fondamentalmente piace.
Tornando alle sue gag, non crederete davvero che sia sincero quando rutilante di rabbia esonda contro le sagre estive?
Solo apparenza per sbeffeggiare i compaesani, in realtà vende lui stesso i biglietti con la barba e gli occhiali finti ed una parrucca.
Ma in estate fa caldo, lui suda e tende a togliersi i travestimenti.
Ma nessuno si è mai accorto di nulla.
Al sistema non va proprio giù uno che sappia divertirsi, informarsi ed indignarsi, ma visto il livello raggiunto dall’umanità anche l’ex Golden boy di Ottosalici ha vacillato rischiando il cedimento: pare abbia seriamente pensato di depilarsi le sopracciglia e di diventare uno youtuber.
Scelta poi declinata nella volontà di seguire ancora il ciclismo.
Sempre disponibile all’ascolto e ad elargire la sua spontaneità, refrattario a dogmi e al pensiero precostituito, con la polemica sempre nel taschino, l’altro giorno in auto ha avuto un furibondo diverbio con se stesso per quale uscita imboccare ad una rotonda (una rotonda che percorre tutti i giorni): solo l’intervento delle forze dell’ordine ha scongiurato il peggio.
Quando sono arrivate si sono sentite dire che come fosse antani per senso unico a livelli navigatore satellitare con scappellamento a destra prematurata blindo all’uscita contromano per ricalcolo del percorso.
Al ché hanno convenuto col Marti.
Convenuto su tutto.

Lele
E’ un umanista prestato all’economia.
O se preferite l’esperto di economia più umanista che ci sia (la rima non era voluta).
E pure un fine storico.
Che lavora però nella sanità.
E già da questo intrecciato preambolo si intuisce che i rigidi schemi gli piacciono esattamente come piacevano a Roberto Baggio.
Ipocondriaco quanto basta per meritare la sufficienza piena, sono francamente eccessive le critiche di disfattismo nei suoi confronti: dopo una dissertazione di una mezz’ora con lui un invasato motivatore – intendo più invasato del solito – ha tentato tre volte il suicidio, l’ultimo dei quali è fallito perché le auto di oggi inquinano meno rispetto a quelle di un tempo.
Un motivo in più per rimpiangere il carburatore.
E dire che Lele aveva sciorinato solo l’introduzione.
Se i politici si informassero la metà di quanto fa lui ed avessero 1/3 della sua abnegazione avremmo la classe dirigente migliore della Storia
E se il Mondo avesse un pizzico (non dico di più) della sua sensibilità e della sua attenzione verso i più deboli (tutti, non solo quelli che aumentano gli ascolti), beh, vivremmo decisamente meglio.
Non deve però uscire un ritratto severo da intellettuale asociale, Lele è una persona di compagnia e con lui la baracca assurge ad una dimensione spirituale superiore.
Decisamente più terreni e prosaici, invece, i bicchieri che vengono scaravoltati.
Lele è una delle poche persone che ha letto l’intero Trattato di Lisbona (non credo che lo abbiano fatto coloro che lo hanno firmato, e i risultati si vedono).
Nella sua attività di divulgazione contro il progetto ordo-liberista ha scelto la tecnica del porta a porta, come un venditore di enciclopedie qualsiasi.
Ma uno che si presenta a parlare di economia al servizio della società e non del contrario, di investimenti pubblici e di demolizione dei paradigmi liberisti su un pianerottolo di un condominio, con la barba ed i capelli lunghi, ecco, non sempre viene ritenuto credibile: una signora gli ha proposto di andare nella sua comune, un direttore artistico gli ha offerto una parte nel musical Jesus Christ Supestar (ovviamente gratis, al ché Lele ha inveito contro lo sfruttamento della proprietà intellettuale), mentre un sessantenne con un passato tribolato che ha vissuto la febbre del sabato sera (un ex eroinomane, insomma) pensava ad una reincarnazione di Maurice Gibb dei Bee Gese.
A sorbirsi le sue lectio magistralis (roba da sei-sette ore minimo, da questo mese scaricabili anche attraverso una comoda App) sono rimasti così i suoi gatti, che però, stanchi di cotanto ascolto forzato, hanno deciso di riunirsi in un sindacato: all’articolo 1 dello statuto felino hanno indicato che la loro priorità è un’altra.
Dormire.
Pur a singhiozzo la sua attività culturale non è comunque passata inosservata ed evidentemente inizia ad essere scomoda, pensate che un gruppo di ignoti per tendergli una trappola lo ha iscritto contemporaneamente a tutte le Logge Massoniche del Pianeta.
Inoltre la macchina del fango lo ha esposto al pubblico ludibrio dipingendolo come un feticista delle mestruazioni solo perché nelle sue lezioni fa spesso riferimento al Ciclo di Frenkel ed ha rivelato che lui, paladino dell’antiglobalizzazione, nel dopolavoro assembla dei mobili per qualche grossa multinazionale, purtroppo senza la possibilità di dare un nome alle sue creazioni, o ritroveremmo la scrivania Carl Marx, la libreria Keynes o il tavolo Bohemien.
In attesa della rivoluzione culturale, sta preparando il campo ad una nuova classe dirigente, con intense e mirate lezioni al suo cane Axel per farlo divenire in tempi brevi il primo Sindaco d’Italia a quattro zampe.
Attendiamo impazienti quando Lele esclamerà tronfio e con accento toscano .

Compro&Vendo

23 Ago

L’argomento è volutamente leggero come il periodo estivo richiede.
Ma è comunque più avvincente delle (non) notizie profuse dalla prezzolata stampa nostrana o delle slinguazzate di sedicenti intellettuali che non conoscono la parola ferie.
Parliamo del mercato – nella sua accezione antica di luogo d’incontro di domanda ed offerta di beni – che ha traslocato pure lui dall’agorà al web e certe vecchie trattative (spesso più un rito che una reale contrattazione) hanno dovuto cedere il passo a nuove fattispecie.
Vi sarà capitato di inserire su internet un inserzione di vendita per la vostra auto o moto come di trovarvi nella condizione di doverne cercare una.
Vi potrebbero attendere questi fenomeni.

L’acquirente ineducato
Rispondono al vostro annuncio con una serafica email o con un messaggio volutamente scarno e asciutto: i buongiorno, ciao, salve, saluti e presentazioni non fanno parte del loro dizionario.
A ben vedere il dizionario non fa parte della loro vita.
Scrivono un aut aut con un’offerta pari al 60% di quanto richiesto (ovviamente senza aver visto il mezzo) e bontà loro specificano che il passaggio è a loro carico e che pagheranno alla consegna (com’è umano lei…).
Quando, più o meno bruscamente, gli fate notare che non è il caso sembra di vedere il loro musino disilluso mentre vergano che va bene lo stesso (ci mancherebbe) ma se voi doveste cambiare idea fateglielo sapere.
(Mi vuoi mettere una scopa in culo così ti ramazzo la stanza? cit.).

Chiaro, limpido, puzza di reato
Questi altri invece più che fastidiosi paiono truffatori o comunque soggetti diversamente rispettosi delle leggi.
Non so il motivo, ma chiamano (o scrivono, loro sono più eclettici) asserendo di essere francesi e biascicando qualche parola in italiano (o forse solo facendo finta) vi chiedono due informazioni sommarie e qualsiasi cosa diciate loro (tipo che l’auto è radioattiva, che la moto perde la ruota anteriore con facilità ed a volte s’incendia), il primo sabato di calendario sono pronti a prendere il mezzo pagando in contanti, oppure vi faranno recapitare un bonifico dall’estero.
Il passaggio di proprietà?Dopo,dopo…
Inutile dire che sono da evitare come la peste, ma non mi stupirebbe di vederli in posti che contano.

Baratta anche tu con noi!
Più pittoreschi, ed alla fine pure simpatici, gli iper-attivi del baratto.
All’impossibilità di pagare interamente il prezzo dell’annuncio non si perdono certo d’animo e – solerti e laboriosi come un teutonico e creativi ed ingegnosi come un latino – rispolverano la più antica forma di commercio esistente.
Offrono auto e/o moto interessanti (ancorché non gradite), improbabili (quindi assolutamente non gradite) o proprio ripugnanti (roba da dichiarazione di guerra).
Un vostro diniego è lungi dal farli desistere.
Rilanciano con la bici che gli fu regalata alla Prima Comunione, il materasso e la rete della loro prima volta, un tostapane Brionvega (sanno che il vintage tira), l’auto del loro vicino (ignaro di tutto) per finire col Prete della loro Prima Comunione.
Non sono ancora arrivati alla scena del pazzo che descrisse Ivan Graziani in Pasqua :
“5.000 lire sussurra/ti faccio andare con mia sorella/ non è un gran è vero ma ho soltanto quella”, ma per interromperli occorre spegnere il pulsante che hanno dietro la schiena.

Il venditore controvoglia
Al telefono risponde svogliato, pare quasi moribondo, e poi è giustamente scocciato che gli chiediate informazioni sull’oggetto che ha lui messo in vendita.
E poi ci sta ripensando, nonostante le numerose offerte ricevute tutte più alte del prezzo da lui richiesto.
Ma che per uno stranissimo motivo stanno vagando nell’etere.
D’altrone il suo annuncio era tanto un prodromo a quel comportamento quanto un diktat da persona afflitta da evidenti manie di persecuzione: no email, no messaggi, no domande strane, i soldi per mangiare ce li ho, è l’annuncio più caro del web ma non me ne frega niente, no curiosi, no affaristi, no gente che respira, io vi ammazzo tutti.
E’ evidente il trauma subito dalla visione dello spot degli anni ’80 sull’Aids.
Solo che l’alone viola, anziché il corpo, gli ha circondato completamente il cervello fungendo da sigillante e interrompendo la già deficitaria attività cerebrale.
Che questo problematico inserzionista non transiga sul prezzo da lui fissato è comprensibile, che per esprimere questo concetto (ripeto, lecito), utilizzi una protervia in versione deluxe è la sublimazione di un evidente misantropia.

Il filantropo
Agli antipodi invece è il tipico soggetto afflitto da gentilite.
Già al telefono sciorina tutto il manuale del venditore-appassionato-amico.
E via cavo può anche far piacere (specie se prima avete sentito l’orco qui sopra) e quasi convincervi.
De visu, no.
Sforzatamente sorridente, vi mostra il suo gioiello (col quale inscena una corresponsione di amorosi sensi) che con il cuore in mano (per essere più sicuro mima anche il gesto) vi vuole vendere facendovi fare l’affare della vostra vita.
E lui sa già che si pentirà, ma beati voi.
Lo ringrazierete…
Continua con le sue meta-dichiarazioni asserendo che il mezzo è perfetto, è stato custodito gelosamente e non ha avuto incidenti (avete già intuito, vero?) poi esclama la frase “Non ci sono per il collo” con una prossemica da attore consumato.
Infatti coerentemente parte dal prezzo fissato che era trattabile (lui è comprensivo) ed inaugura un (auto)asta al ribasso senza che voi proferiate parola.
Fa tutto lui.
E’ quasi commuovente come cerchi di credere anche lui alle balle che sta sparando.
D’altronde, qualcuno prima le ha raccontate a lui.

Che famo, ce tocca pure da rivalutà quer tira sole der salone d’automobbili?

Dizionario all’itagliana

31 Lug

Autoderminazione dei popoli: concetto fiero, aulico.Studiato solo sui libri di scuola.

Bigotti: dato l’elevato numero evidentemente si riproducono ad un ritmo quadruplo rispetto alle altre persone.E’ un fardello atavico che ci portiamo appresso.Speriamo in questo caldo record.

Coraggio: quando presente si manifesta solo in compagnia di se stessi ma opportunamente non davanti allo specchio: non regge ancora lo sguardo.

Dogmi: col calo – lento ma costante – del mercato delle religioni si sono aggiunte nuove attività strategiche: tecnologia, globalizzazione e mercato.Dal dramma alla tragedia.

Egemonia culturale (di gramsciana memoria): quando qui il 31 ottobre festeggiamo Halloween (o meglio, un surrogato a stelle e strisce come solo da quelle parti sapientemente sanno fare) ma negli Stati Uniti pochi giorni dopo, l’11 novembre, non si festeggia San Martino.

Favole: un evidente richiamo all’infanzia.Con la differenza che allora c’era il lieto fine.

Giustizia: funziona in maniera ineccepibile: coi deboli è lenta, cavillosa, mai equa e manipolata, coi forti è sempre manipolata (ma a loro favore), veloce e dal giudizio sicuro.Perché è così che deve funzionare, vero?

Hai capito?: no, ma in compenso non ci ho nemmeno provato, né io né gli altri.E poi mica ce l’hanno detto, di capire…

Istruzione: in tanti ne parlano e la sventolano per farsi belli ma se la incontrassero in pochi saprebbero riconoscerla.

Legalità: termine risorgimentale sparito ormai a livello nazionale, si ritrova ancora in qualche sparuta comunità ed in qualche gruppo di persone invise e sbeffeggiate dalla tronfia maggioranza del paese.

Memoria storica: concetto sconosciuto a questo dizionario.

No: diniego proferito frequentemente da riottosi gufi, pure colpevolmente disfattisti e rosiconi, in risposta al finto cambiamento che cela invece un progetto perlomeno pericoloso.Per il quale invece abbondano più o meno consapevoli “Mi piace”.

Onestà intellettuale: avvistata dai satelliti a 10.000 km da noi.Fanno sapere gli astrologi che per ora non farà visita nel nostro paese.

Potenti: più leccati che combattuti. Quel poco livore che ancora si riscontra non è da confondere col coraggio (vedi sopra alla relativa voce): si tratta di invidia.

Quattrini: ecco spiegato perché si tratta di invidia.

Reputazione: un suo ritorno sistemerebbe parecchie questioni.

Rivoluzione: al bancone del bar ed al massimo se la squadra del cuore perde lo scudetto o vende il centravanti.Oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente (GG docet).

Sistema democratico: una minoranza (criminali organizzati, delinquenti semplici, buona parte dei politici, una fetta degli immigrati) si fa letteralmente i cazzi propri (che non coincidono nè coi cazzi degli altri nè col rispetto del senso civico e della rettitudine morale) e sostanzialmente guida e governa il Paese.
Negli anni la percentuale è cresciuta: a stare con lo zoppo si impara a zoppicare ed il terreno pare decisamente fertile.

Stronzate: esercitano un’attrazione ancestrale proporzionale alle loro dimensioni.

Tifo: altro ceppo dell’omonima malattia, rispetto a quest’ultima nuoce ancora più vittime.Diffusissima in politica (o nel teatrino che ne rimane).

Uomo forte: lo esigono sia una pavidità di fondo sia un latente messianismo.Ogni volta che qualcuno (con i patetici cerimoniali del popolo bue) assurge da salvatore della patria in realtà l’affossa ancor di più.E dopo si riparte con un altro.

Verità : lei vorrebbe tanto sgorgare dal sottosuolo dove è stata confinata, le basterebbe qualche zampillo, giusto per mostrare – con la sua immagine inconfutabilmente inedita – che esiste davvero.Ma è stata isolata talmente bene che contro la fisica non si può andare.

Zi badrone: dicono che gli animali domestici assomiglino ai propri padroni.E viceversa.

Guido in Japan

2 Mag

E’ spesso in giro per il Mondo (pare sia pagato per quello), inoltra foto, post e commenti di ogni sua peregrinazione.
Ma qualcuno inizia a non credere più ai racconti di Cristiano Guidetti alias il Guido.
Soprattutto dopo aver scoperto come sia veramente andato il suo ultimo viaggio in Giappone.

Da sempre sensibile al fascino delle culture locali, al suo ritorno dal Sol Levante avrebbe voluto stupire con mosse di karate gli amici, i familiari e quelli dell’Agenzia delle Entrate.
Si è affidato al maestro Miaghi, noto sfruttatore di manodopera in nero nonché abusivista edilizio ed usuraio, che gli ha fatto subito riverniciare tutti i portoni e le staccionate di casa e passare la cera sulla sua nutrita collezione di mobili antichi (rubati).
Quando credeva finalmente di aver terminato la rituale gavetta e di poter avere accesso allo scrigno dei segreti delle arti marziali, si è invece sentito rispondere “Bene Guido San, domattina puntuale: dovrai togliere dal tetto l’amianto”.
Non contento, è andato a romper i coglioni ad altri influenti personaggi (quindi dei cialtroni) prendendosi pure quattro schiaffoni da Ken Shiro.
D’altronde, il più famoso proverbio giapponese recita: “Non svegliare Ken che dorme”.
Al momento il kimono lo può indossare solamente nelle operazioni di depilazione.
Ha trovato un pò di pace e sollievo solo da Marrabbio, per cui meglio non fargli sapere che il menu di quella sera fosse composto da carne di Hello Spank, Torakiki e di un loro amico sifilitico.

A causa dei troppi impegni non è più affidabile come un tempo, quando pur di viaggiare faceva lo spallone verso la Svizzera.
Un suo amico che preferisce restare anonimo (anche perché ha perso completamente la memoria) gli ha chiesto un piccolo souvenir (una innocente katana), ricevendo dei banali coltelli Shogun acquistati sei anni fa in una televendita.
Un altro tizio ha semplicemente ordinato di portargli in Italia (vive) la mamma di Oliver Hutton e Kelly di Occhi di Gatto.
Convincere la prima non pareva un’impresa epica – visto che è una troia – ma niente, continuerà a frequentare (cioè a chiavare) tutti quelli che bazzicano intorno alla scuola calcio del figlio.
Sulla seconda (la conturbante sorella maggiore di Occhi di Gatto) la mancata consegna è in parte giustificabile: pur essendo anche lei una bagascia (ottimi gusti gli amici, eh?) ha sempre esercitato sul nostro apolide un certo fascino.
E difatti è rimasta là pure lei.
La terza richiesta stava per essere esaudita, ma un comportamento fantozziano ha mandato tutto a monte.
Cristiano (penso di averlo chiamato così mezza volta) si è schierato alla dogana con un telaio Deltabox in alluminio della Yamaha sulle spalle, oggetto del desiderio di un genialoide che sta girando su una moto dotata solo di ruote e motore.
Per non dare nell’occhio fischiettava un motivo dei Beehive, uno a caso (tanto fanno tutti cagare allo stesso modo) e beveva degli Estathé scaduti.
Incalzato dalle guardie, il nostro Globetrotter ha usato l’italianissima scusa del “A mia insaputa” corroborando la tesi col racconto di un politico del Bel Paese a cui avevano pagato la casa senza che lui lo sapesse.
Con toni poco accomodanti (e con diversi calci nel culo) gli è stato ordinato di tornarci, in quel Paese.
Senza il telaio (pare che le guardie lo abbiano venduto a Marrabbio per la farcitura delle frittelle).

Rientrato in patria (un ossimoro, nel suo caso) il nostro astante sta cercando forsennatamente di incontrare persone a cui raccontare le proprie mirabolanti avventure ma nessuno se lo sta cagando di striscio visto il suo tasso di decadimento radioattivo.
Ha talmente tanta energia (nucleare) in corpo che sta facendo una concorrenza serrata a quelli dell’Uber.
E nel giro di sei mesi del Guido uscirà anche la versione ibrida.

P.s. Articolo di pura fantasia, meglio ricordarlo visto il numero di creduloni presenti in Italia.
P.s.2 Grande Guido!