Archivio | giugno, 2014

Nazionale?No, grazie.

30 Giu

Anche a questi Mondiali – esattamente come agli Europei di due anni fa – non ho tifato per l’Italia.
Perché è una Nazionale che non mi rappresenta, lo specchio di una Nazione che non mi rappresenta.
È la Nazionale che alla vigilia di Euro 2012 spedisce a casa l’indagato Criscito ma tiene l’indagato Bonucci.
È la Nazionale di Buffon (il capitano) che – sempre nello stesso periodo – lancia i propri strali contro le perquisizioni legate al calcio-scommesse (da noi i cattivi sono quelli che scoprono i reati, non quelli che li commettono).
È (era) la Nazionale di Don Cesare Prandelli, un ambasciatore della retorica idolatrato e beatificato (perlomeno fino ai Mondiali) ad ogni piè sospinto.
Prima il sermone, poi i peana in un intricato gioco di causa-effetto.
Per l’ideatore del codice etico (applicato molto eticamente:tu sì, tu no) mancava solo il Santo subito per coronare l’agiografia.
È la Nazionale di Cassano, la cui indisponenza didascalica riesce ad avere la meglio su un talento ormai impigrito pure lui.
Rovina il gruppo, non incide, non s’impegna, la sua avventura in azzurro è finita: già sentite queste frasi?
È la Nazionale di Balotelli, tratteggiato da sempre come un predestinato, che anziché calare gli assi colleziona bluff.
È un campione perennemente ipotetico che – nel Paese che ha discusso Rivera, Mazzola, Baggio e Totti – gode di un credito spropositato che lui sperpera con sufficienza.
Per capire cosa spinga tanti ragazzini ad elevarlo a propria icona non credo sia sufficiente leggere Critica alla ragion pura di Kant.
Gode di una popolarità inversamente proporzionale a quanto dimostrato finora: la cresta come metro di giudizio.
In Balotelli poi c’è una sorta di razzismo al contrario.
Al netto dei soliti idioti, quando viene subissato di buuu il colore della sua pelle c’entra poco o nulla.
Il suo atteggiamento – che trasformerebbe Gandhi in un Ispettore Callaghan – invece parecchio.
Balotelli è, suo malgrado, un fotogramma del film “Qui Italia, a voi resto del Mondo”, riproposto all’inverosimile, dalla trama risibile ma che il pubblico mostra ancora di gradire.
La sceneggiatura (per sommi capi): c’è da risollevare il nostro Stato, un modesto personaggio viene insignito del ruolo di salvatore, lui ha capito gli errori del passato, non può più fallire, è l’ultima chance anche perché dopo di lui il diluvio, la rinascita parte da qui, bla bla bla.

Più che una squadra, la compagine italiana, sembra il regno dell’ ipocrisia, il trionfo dell’autoreferenzialita’ e della cooptazione.
Ai risultati (modesti) risponde coi proclami.
Se in alcuni Stati le Nazionali fungono da oppio per il popolo, da noi la selezione azzurra è uno spot di un prodotto (il Paese, appunto) che non esiste: coeso, efficiente, capace, meritocratico.
E’ il vessillo di un’immagine artefatta (da altri, è vero) nella quale però gli addetti ai lavori si sono calati nella parte da attori consumati.
Cambiano i tempi e di conseguenza i protagonisti.
Se la Nazionale potesse voltarsi all’indietro tingerebbe le maglie di amarezza e malinconia.
Pensando al vocione crea-tormentoni di Bruno Pizzul, a suo modo nazionalpopolare (e quanto mai rimpianto).
Ascoltando oggi Beppe Dossena, a suo modo Beppe Dossena (il rimpianto è di non aver cambiato canale): uno che sputa sentenze ma che da allenatore non ha vinto nemmeno un torneo di Subbuteo giocando da solo.
Oppure socchiudendo gli occhi per far volare la mente ed il cuore a Roberto Baggio, uno che incarnava la maglia azzurra, anzi ne era la quintessenza.
Tra i vari doni che la Natura gli ha riservato (salvo farglieli pagare caro col dolore degli infortuni) c’era la capacità ecumenica e taumaturgica di unire tutte le tifoserie d’Italia.
Nel suo corpo brevilineo l’uomo riusciva a tenere testa al fuoriclasse.

Quando si vince tutti sono simpatici (Lippi e Capello potrebbero non essere d’accordo).
Nelle sconfitte è più difficile indossare una maschera.
Ecco a voi l’arbitro brutto e nero, il caldo (difatti il Costarica e l’Uruguay quando ci hanno battuto hanno giocato 6 ore dopo di noi: la nuova frontiera della differita), il vento che insolente non aveva avvertito Caressa della sua direzione.
Mancava solo che qualcuno dicesse “Il Brazuca è nostro e voi non giocate più”.
L’Italia ha scelto come pagliuzza il morso di Suarez.
Ma forse per mandare in crisi questa squadra sarebbe bastata una pernacchia.

Condominio Italia

11 Giu

In una qualsiasi città d’Italia gli abitanti di un appartamento esternano tutto il loro malcontento per la gestione – ormai ultra-decennale – di un navigato amministratore condominiale.
Pressapochismo, problemi rimandati, scuse seriali, disservizi, spese lievitate inspiegabilmente, l’inefficienza entrata nel regolamento condominiale, estratti conti perennemente in affanno, la sensazione diffusa di vantaggi personali nella gestione di una cosa pubblica, la consapevolezza di essere manovrati da poteri infinitamente più forti.
Ecco per sommi capi cosa pensano gli inquilini della gestione del loro amministratore.
Peccato che la tanto agognata assemblea da possibile tappa rivoluzionaria si trasformi in un trionfo per il restauratore che da anni ha soverchiato la volontà popolar-condominiale.
Entrati da incendiari, i poveretti sono stati disinnescati dallo scafato mammasantissima delle palazzine e sono usciti mansueti come degli agnellini.
Un po’ male minore, un po’ unica soluzione, un po’ obtorto collo: semplice la ricetta dell’imbonitore et voilà, l’iconografia anche stavolta (l’ennesima) è stata ripulita e la poltrona mantenuta.

Sostituite agli inquilini gli elettori ed al manigoldo-amministratore i nostri politici e scoprirete che il risultato non cambia.
La situazione che stiamo vivendo non si è certo creata da sola, legittimare ancora quelle persone, quegli apparati (e quei poteri che rappresentano) sperando che risolvano i problemi che proprio loro hanno creato (con colpa o con dolo, scegliete voi) è un esercizio di puro masochismo.
Esistono delle perversioni decisamente più divertenti.
L’assenza di alternative (saper fare una buona opposizione non è sinonimo di saper anche governare) è solo una scusa che in mano alla vecchia partitocrazia diventa un mantra soporifero da spruzzare.
Basterebbe evitare di rieleggere questi professionisti del declino e le loro versioni edulcorate 2.0 (ovvero il simulacro del rinnovamento).
Non è difficile.
Gli italiani hanno uno strano rapporto col cambiamento, quasi avessero una margherita da sfogliare: o quello sbagliato o quello gattopardesco.
Prima scelgono il partito per cui votare poi – in funzione di esso – (s)ragionano di conseguenza.
L’onestà intellettuale ed il buonsenso chiederebbero il contrario.
E’ più faticoso informarsi e ragionare con la propria testa che tenere il loro atavico approccio dogmatico.
Ma qualche danno, forse, verrebbe evitato.

Indro Montanelli affermava che “In Italia a fare la dittatura non è tanto il dittatore, quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere un padrone da servire”.
Un Marco Travaglio decisamente icastico ha aggiunto qualche anno più tardi “Quando uno si informa è molto più difficile prenderlo per il culo”.