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Vengo dopo il GP

13 Nov

Era partito come un semplice post su Facebook, considerata la lunghezza però la sua dimora naturale è qui sul blog.
Si parla del Motomondiale, di Rossi, di Lorenzo e di Marquez, senza la pretesa manichea di trovare colpevoli od innocenti (anche perché non esistono).
E’ solo un analisi ad ampio raggio con l’obiettivo di far riflettere e discutere.

– Non sono mai stato un tifoso di Valentino Rossi, anzi, da sempre mi sta pessantemente sui palle (cit.).Questione puramente epidermica, di atteggiamenti e di fisiognomica.Ciò non toglie che lo reputi uno dei migliori piloti della storia del motociclismo col coraggio di passare da una super Honda (di allora) alla modesta Yamaha (di allora) e con la forza di restare da quasi vent’anni sulla breccia.E col merito di aver regalato emozioni in purezza;
– Classe infinita, talento purissimo e carisma istrionico.Anche troppo.Mi spiego meglio: parecchi dei suoi tifosi non sono appassionati di moto e tifosi di Valentino, sono tifosi di Valentino e basta.Quando lui si ritirerà loro saluteranno il motociclismo e passeranno ad un altro sport o ad un’altra moda del momento. Non conoscono la differenza fra un due ed un quattro tempi, fra un telaio a doppio trave ed uno in traliccio, omettono il significato di “sfrizionare” e non sanno cosa sia la schiena di un motore.Perchè non ce l’hanno mai avuta una moto e questo giocoforza abbassa il livello del dibattito e si entra in una dimensione puramente fideista (i capi ultrà è noto che di calcio capiscano poco);
– Rossi è un finto simpatico già quando vince, le volte poi che non ci è riuscito si è lamentato come un pilota qualsiasi: le gomme Bridgestone che non aveva od il motore della Ducati che sembrava un 1.000 cc.Gnolatine iniziate guarda caso quando a ronzargli intorno sono stati piloti agguerriti e più giovani di lui (Stoner, Lorenzo e Marquez) che a turno sono diventati il Rossi di Rossi, oltre a batterlo frequentemente (2007,2010,2011,2012,2013,2014,2015).Se volete togliete il 2011 ed il 2012 per manifesta inferiorità tecnica;
– Il Dottore non è una vittima, non può esserlo un cannibale che ha vinto 9 titoli Mondiali.Rossi quel sistema lo conosce bene e ci sguazza da una vita.Lo “sportivo” Rossi è quello che fatto erigere un amichevolissimo muro nei box della Yamaha quando è arrivato un giovane Lorenzo, intuendo le sue qualità e per paura che gli rubasse i dati dell’assetto.Ma lo fatto con simpatia, sia chiaro.E con altrettanta simpatia la Yamaha due anni dopo dinanzi al suo diktat “O me o Lorenzo” gli ha detto “Lorenzo”, facendolo emigrare nella scuderia a lui più lontana (ma unica libera):la Ducati.E è tornato alla casa dei tre diapason (qualcuno sussurra su intercessione della Dorna) da seconda guida;
– Rossi è caduto in un tipico comportamento dei fuoriclasse a fine carriera, ovvero la fatica ad accettare che qualcuno vada più forte di lui, che sia altrettanto cattivo nei sorpassi e nei corpo a corpo o che lo affronti senza il timore della lesa maestà;
– Valentino ed il suo entourage hanno scientemente creato un cortocircuito grazie ai mass media e ai supporter alimentato dal “Io ho vinto più di tutti” e dal “Il popolo è con me” tale per cui ogni cosa ha due pesi e due misure.Se Rossi fa un sorpasso al limite è speeettacoloooo, se lo fanno gli altri son criminali.Marquez non doveva ostacolare Rossi a Sepang (ci torniamo dopo) ma doveva attaccare Lorenzo a Jerez (veramente lo ha fatto, a Philip Island, ed ha anche vinto);
– Rossi, oltre che sulla manopola del gas e sulla leva di destra del manubrio, ha fondato la propria strepitosa carriera su guerre psicologiche, battutine taglienti, scenette goliardiche e sorpassi al limite (il motociclismo non è uno sport per signorine, non ci si lamenta, la si ridà indietro), logico inimicarsi dei piloti che quando possono non ti aspettano certo per offrirti uno spritz e per lucidarti le razze dei cerchioni.Beghe tra centauri che solo le suorine fingono di non vedere, roba che normalmente quando uno cammina di più risolve con un sorpasso (ed al limite con due sgrugnoni al box). Rossi quest’anno non sempre era in grado di farlo (il sorpasso, intendo).Non so quale legge della fisica dica che se uno vuole rallentarmi ed ostacolarmi ma io sono più rapido è facile che lui si attacchi al cazzo;
– I piloti sono persone un po’ sopra le righe con la tara genetica della competitività.Ayrton Senna covò la sua “rivincita” per un torto (vero) subito vendicandosi dopo un anno esatto sulla stessa pista, commentando laconico “Le corse sono fatte così, a volte finiscono subito dopo il via, a volte a 6 giri dalla fine”.Ed ho volutamente citato il più grande di tutti.L’acredine che nasce fra i cordoli si sfoga in tanti modalità, con le ripicche più svariate;
– Giacomo Agostini (e non quelli al sabato vanno al Monte o Uccio Reggiani) ha dichiarato che a Sepang Rossi non doveva accettare la sfida di Marquez se sapeva si essere più lento.Capitò anche a lui con Read che faceva il furbino (eufemismo), in due giri lo sverniciò.Il Rossi di 10 anni fa delle combine vere o presunte se ne sarebbe altamente fottuto, oggi si attacca a quelle (in tutti i sensi).La sportellata a Marquez è figlia dell’impossibilità di distanziarlo.La chiave di questa vicenda è tutta lì;
– Non mi venite a dire che avete scoperto due settimane fa che l’ambiente della MotoGP non è formato da gigli di campo e che gli affari vengono prima di tutto.Far girare un GP di sera non verrebbe in mente neanche ad uno con la residenza in un OPG.La MotoGP si sta formulaunizzando.Ma è da un po’;
– Il campione pesarese, dopo tante strategie vincenti, è caduto nella sua stessa trappola.Quella della guerra di nervi, dell’esasperazione.Del creare un ambiente ostile.L’ha menata all’inverosimile con la storia del patto fra i due spagnoli, ma stavolta ha scelto le persona sbagliate (Marquez e Lorenzo) nel momento sbagliato.Anzichè demolirli come al solito, li ha caricati: Marquez a dimostrargli da vicino (molto vicino) di che pasta fosse fatto e Lorenzo a recuperare i punti di svantaggio per una rimonta Mondiale.Questa vicenda l’ha sovralimentata lui.Se il Rossi di 15 anni fa avesse sentito il Rossi complottista delle ultime due settimane gli avrebbe perlomeno dedicato una delle sue proverbiali gag;
– Quest’anno Marc Marquez si è perso per problemi di concentrazione (si spiega così la compilation di cadute) e per quella voglia atavica della Honda di mettere il becco sulla moto molto più dei piloti (che però la devono guidare, persero Rossi anche per questo).Rimane un ventiduenne irriverente che guida al limite anche in parcheggio (si rispiega così la compilation di cadute) e che in maniera sfrontata ti mette la moto di traverso davanti al naso.Lo faceva nei primi Duemila anche un certo Valentino Rossi.L’ha giurata al pilota di Tavullia?Può essere benissimo, a parti inverse forse anche Rossi avrebbe fatto fatica ad ingoiare gli epiloghi dell’Argentina o di Assen, corroborati dalle accuse di accordi sottotraccia.E quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare ed i più rapidi stanno davanti;
– Dobbiamo smetterla di credere che il nostro beniamino sia un Angelo del Bene esente da colpe e peccati e l’avversario di turno un Mefisto a cui attribuire tutte le disgrazie del Mondo fra cui il buco dell’ozono, le canzoni di Jovanotti e l’utilizzo del “Tanta roba”;
– Jorge Lorenzo ha fatto una gran stagione, rialzandosi da qualche cazzata con la silenziosa cattiveria di quelli col manico per dimostrare che il più veloce quest’anno è stato lui (ne ha vinte 7, Rossi 3).E salvo rari casi, o a meno che Renzi non cambi anche queste regole, il più veloce vince.Gli darò la lode quando tornerà il Porfuera che superava all’esterno col rischio di cadere e smetterà di essere un po’ troppo ragioniere (purtroppo credo mai);
-Il majorchino merita il titolo anche perché nel 2013 fece la sua più bella stagione (ad Assen quasi totalmente demolito s’inventò un quinto posto epico) battuto per una manciata di punti dal rookie Marquez e quest’anno ha zittito tutti quelli che lo davano capace solo di leccare i Chupa Chups o di indossare gli occhiali da sole;
– Rossi ha strameritato tutti i suoi Mondiali, vinti e dominati.Quest’anno stava comandando il Campionato di testa, di esperienza, da situazionista ma non certo da quello più rapido della combriccola.Ha tirato fuori due zampate (Assen e Silverstone) quando sembrava che Lorenzo stesse per mettere la freccia e spiccare il volo, ma ha sempre sofferto il compagno di squadra.In qualifica, in gara e credo anche in vasca in scooter nel paddock.Devo ammettere che non credevo di rivederlo così a 36 anni, ma il “così” non è bastato e Rossi lo sa benissimo per primo;
– Sono storiche le affermazioni di Rossi a Stoner e Gibernau dopo un corpo a corpo poco ortodosso (mai criticato per quello) “Non te la prendere, le corse sono fatte così” o un commento di un dopo-gara che spiegava un comportamento discutibile di Biaggi con “…evidentemente gli tira il culo finire dietro tutte le domeniche”.
– Ora è il suo turno.

 

Guido in Japan

2 Mag

E’ spesso in giro per il Mondo (pare sia pagato per quello), inoltra foto, post e commenti di ogni sua peregrinazione.
Ma qualcuno inizia a non credere più ai racconti di Cristiano Guidetti alias il Guido.
Soprattutto dopo aver scoperto come sia veramente andato il suo ultimo viaggio in Giappone.

Da sempre sensibile al fascino delle culture locali, al suo ritorno dal Sol Levante avrebbe voluto stupire con mosse di karate gli amici, i familiari e quelli dell’Agenzia delle Entrate.
Si è affidato al maestro Miaghi, noto sfruttatore di manodopera in nero nonché abusivista edilizio ed usuraio, che gli ha fatto subito riverniciare tutti i portoni e le staccionate di casa e passare la cera sulla sua nutrita collezione di mobili antichi (rubati).
Quando credeva finalmente di aver terminato la rituale gavetta e di poter avere accesso allo scrigno dei segreti delle arti marziali, si è invece sentito rispondere “Bene Guido San, domattina puntuale: dovrai togliere dal tetto l’amianto”.
Non contento, è andato a romper i coglioni ad altri influenti personaggi (quindi dei cialtroni) prendendosi pure quattro schiaffoni da Ken Shiro.
D’altronde, il più famoso proverbio giapponese recita: “Non svegliare Ken che dorme”.
Al momento il kimono lo può indossare solamente nelle operazioni di depilazione.
Ha trovato un pò di pace e sollievo solo da Marrabbio, per cui meglio non fargli sapere che il menu di quella sera fosse composto da carne di Hello Spank, Torakiki e di un loro amico sifilitico.

A causa dei troppi impegni non è più affidabile come un tempo, quando pur di viaggiare faceva lo spallone verso la Svizzera.
Un suo amico che preferisce restare anonimo (anche perché ha perso completamente la memoria) gli ha chiesto un piccolo souvenir (una innocente katana), ricevendo dei banali coltelli Shogun acquistati sei anni fa in una televendita.
Un altro tizio ha semplicemente ordinato di portargli in Italia (vive) la mamma di Oliver Hutton e Kelly di Occhi di Gatto.
Convincere la prima non pareva un’impresa epica – visto che è una troia – ma niente, continuerà a frequentare (cioè a chiavare) tutti quelli che bazzicano intorno alla scuola calcio del figlio.
Sulla seconda (la conturbante sorella maggiore di Occhi di Gatto) la mancata consegna è in parte giustificabile: pur essendo anche lei una bagascia (ottimi gusti gli amici, eh?) ha sempre esercitato sul nostro apolide un certo fascino.
E difatti è rimasta là pure lei.
La terza richiesta stava per essere esaudita, ma un comportamento fantozziano ha mandato tutto a monte.
Cristiano (penso di averlo chiamato così mezza volta) si è schierato alla dogana con un telaio Deltabox in alluminio della Yamaha sulle spalle, oggetto del desiderio di un genialoide che sta girando su una moto dotata solo di ruote e motore.
Per non dare nell’occhio fischiettava un motivo dei Beehive, uno a caso (tanto fanno tutti cagare allo stesso modo) e beveva degli Estathé scaduti.
Incalzato dalle guardie, il nostro Globetrotter ha usato l’italianissima scusa del “A mia insaputa” corroborando la tesi col racconto di un politico del Bel Paese a cui avevano pagato la casa senza che lui lo sapesse.
Con toni poco accomodanti (e con diversi calci nel culo) gli è stato ordinato di tornarci, in quel Paese.
Senza il telaio (pare che le guardie lo abbiano venduto a Marrabbio per la farcitura delle frittelle).

Rientrato in patria (un ossimoro, nel suo caso) il nostro astante sta cercando forsennatamente di incontrare persone a cui raccontare le proprie mirabolanti avventure ma nessuno se lo sta cagando di striscio visto il suo tasso di decadimento radioattivo.
Ha talmente tanta energia (nucleare) in corpo che sta facendo una concorrenza serrata a quelli dell’Uber.
E nel giro di sei mesi del Guido uscirà anche la versione ibrida.

P.s. Articolo di pura fantasia, meglio ricordarlo visto il numero di creduloni presenti in Italia.
P.s.2 Grande Guido!

Dieci sportivi per me non posson bastare

23 Ott

Sono di moda e mi stanno sul cazzo.
Forse proprio perché sono di moda, forse perché sono delle catene di S.Antonio, quindi un modo edulcorato di schedare e manovrare le persone.
Parlo delle nomination in voga su Facebook, pur nella nobiltà degli argomenti trattati (letteratura, cinema, sport).
Il dovere (e la voglia) di rispondere ad una lista in stile deluxe di Ime, mi hanno spinto ad allinearmi.
Non nomino nessuno (e ci mancherebbe) ma siccome il blog è mio le regole verranno un pò cambiate (il potere di chi non è stato eletto da nessuno).

Ayrton Senna da Silva
In lui sapevano convivere due fuoriclasse in perfetta simbiosi fra di loro: l’uomo ed il pilota.
Aveva qualità talmente adamantine che la genialità pareva aver scelto lui per fare bella mostra di sé nella sua forma più pura.
Nelle corse ha cambiato la percezione spazio-tempo.
Una delle poche persone per cui valga la pena essere tifosi.
(vedi anche http://shiatsu77.me/2014/08/28/oltre-il-mito-oltre-la-leggenda/).
Marco Van Basten
Certi giocatori quanto siano forti non lo capisci dai gol-capolavoro e/o decisivi o dalle giocate-monstre.
Basta guardarli effettuare un semplice retropassaggio.
Van Basten era il prototipo del giocatore perfetto ma senza rinunciare a quella magia che contraddistingue i geni.
Classe, cervello e muscoli (epici i suoi duelli con Vierchowod).
Una volta disse ad Ancelotti “Tu passami la palla, poi corri ad abbracciarmi”.
Tanto talentuoso quanto riservato, il cigno di Utrecht quando smise di giocare a causa della caviglia malconcia stava ancora migliorando, porca troia…
Karl Aurel Kohrsin al fantacalcio riuscì a vendermelo rotto, facendomi svenare.
Al cuor non si comanda.
Roberto Baggio
Ecumenico a sua insaputa, ha saputo unire tutte le tifoserie d’Italia (dote taumaturgica).
La natura gli ha fatto dono di una classe sopraffina (forse qualcosa di più) ed un carattere ed una tenacia d’oro, salvo farglieli pagare caro col dolore degli infortuni.
Baggio è stato più forte di tutto (dei suoi legamenti, di certi suoi allenatori, dell’età, dei pregiudizi e dell’invidia).
E’ stato il miglior giocatore italiano di sempre.
Qualcuno ha pure avuto il coraggio di discuterlo.
Perdonali, Robertobaggio.
Ruud Dil Gullit
Al Psv giocava attaccante, al Milan da seconda punta e sulla fascia, alla Samp ha fatto il centrocampista centrale ed infine al Chelsea il libero.
In mezzo a tanta ecletticità, treccine e spettacolo allo stato puro, trovava il tempo per castigare una pletora di donzelle.
In un derby con una sbega ravvicinata trafisse Zenga.
La rete della porta si sta ancora muovendo.
Era il 1988.
Alberto Tomba
Sbruffone, donnaiolo, cazzaro.
Subito a pensare ad un politico, eh?
Parlo invece di Alberto Tomba, che aveva una qualità in più:era geneticamente costruito (in un unico esemplare protetto da clonazione) per stupire sulle piste di tutto il Mondo.
Per lui (giustamente) l’Italia si fermava.
Grazie a lui tutti gli italiani sono diventati esperti di sci (esclusa Ivana Vaccari).
Il re dello sci e della disponibilità (per forza, è un vitellone emiliano).
Dei due fratelli lui è quello di successo, quello sfigato è Alex l’ariete.
Zdenek Zeman
In un dizionario illustrato la sua foto comparirebbe accanto alle parole
idea, coerenza, coraggio.
Refrattario al compromesso, è un antidoto alla noia e all’ipocrisia.
Chi lo ha detto che i grandi comunicatori devono essere loquaci?
La saggezza e la sincerità danno fastidio, per questo lo adoro.
(http://shiatsu77.me/2012/08/06/il-maestro-boemo/).
Motomondiale 2 tempi
Qui faccio il purista:le moto da corsa devono essere dei 2 tempi.
Più meccanica, zeru elettronica.
In quegli anni l’odore (profumo?) di miscela ed il rumore metallico che diventava un urlo lancinante facevano da colonna sonora a battaglie per uomini veri.
Prima di parlare di moto è obbligatorio conoscere quegli anni, please.
Christofer Roland Waddle e Gianluigi Lentini.
Impazzisco per le ali (meglio se vecchio stampo), i veri ribelli del calcio.
Ognuno ha le proprie manie.
Chi ama farsi 216 selfie al giorno, chi comunicare con le slides.
Qualcuno da giovane ha pure partecipato alla Ruota della Fortuna.
Non ho mai visto nessuno saltare l’uomo (anzi, gli uomini) con tanta facilità come Chris Waddle.
E’ l’esempio didascalico di cosa sia il dribbling (non fine a se stesso, lui puntava alla porta…): chiedere a Paolo Maldini.
In quell’andatura un pò insolente da cavallo pazzo con le chiome al vento c’era tutto Gigi Lentini.
Senza quel maledetto incidente di merda…
Italvolley ’90
Ai miei tempi girava ancora la fionda che la pallavolo fosse roba per le femmine.
Ovviamente una balla, tipo che la legge è uguale per tutti.
Quella squadra emanava un senso di potenza primordiale unendo l’estro dei latini ad un’organizzazione teutonica.
Rimpiango di non aver provato a giocare un pò seriamente (ho una battuta devastante).
Cristiano Doni
Ma come, un giustizialista come me?
Sì, perché aveva quintalate di talento senza essere un predestinato ed era un rappresentante dei fenomeni di provincia, quelli che riducono le distanze fra i protagonisti e gli amanti del pallone.
Prima mi ha emozionato, poi mi ha deluso.
Finale Usa-Croazia Olimpiadi 1992
In quegli anni mi stavo interessando al basket.
Poi abbandonai.
La stessa cosa che avrebbe dovuto fare con la politica un certo Matteo R.
Il rimpianto fu di non vedere la dissolta Jugoslavia giocarsela col Dream Team, ma in un parquet dieci cestisti così forti io non li ho mai più visti.
Dieci?
No, c’erano anche le panchine.
Micheal Johnson
Adoro gli sprinter, per me l’atletica sono loro.
Michel Johnson mi attirava per quello stile un po così che possedeva solo lui, col quale corroborava e condiva le sue tante vittorie (con record).
Quando mi alleno (o meglio, cerco di fare pari con quello che mangio e bevo) esibendomi nei miei proverbiali (bello vero) e prodigiosi (si dai) allunghi, inconsciamente mi viene da imitarlo.
Solo che io faccio pena.
Vincenzo Montella
Il sodalizio iniziò dopo aver visto un suo gol: una girata al volo di sinistro (pleonasmo) quando ancora indossava la maglia del Grifone.
Da allora ogni volta che l’Aeroplanino ha decollato, io volavo con lui (le hostess però non hanno mai premiato la mia fedeltà).
Giocate mai banali, poco aduso a gossip e velinate, è uno degli attaccanti più dotati della sua generazione (e non solo).
Potrebbe rompere il tabù che vuole come bravi allenatori solo gli ex-giocatori “di sostanza”.
Carlos Sainz
Ha vinto “solo” due Mondiali Rally, ma ho avuto conferma nella sua grandezza nelle sconfitte.
Quando aveva una macchina palesemente inferiore (diceva che preferiva essere apprezzato ed in armonia col team piuttosto che avere il mezzo migliore) o quando nel ’98 si ruppe la sua Toyota a pochi metri dall’arrivo impedendogli di vincere l’iride.
Pianse dalla delusione
Vinse ugualmente.
Zlatan Ibrahimovic
Nove volte su dieci quelli come lui non li sopporto.
Quando ancora ero un tifoso dovevo odiarlo, perchè lo temevo.
Come riesca a far convivere tanta grazia in quel fisico è insieme un mistero ed il suo stilema.
Il suo modo d’essere (fra tanti Playmobil) è un rifiuto all’omologazione in un mondo capziosamente individualista ed in realtà standardizzato.
Antonio Cairoli
Lo so, in tanti di voi non sapranno di chi stiamo parlando.
Un pò quello che accadde qualche anno fa ad un congresso di un partito quando Gianfranco Fini pronunciò la parola legalità.
Si è tatuato la frase “Velocita, fango e gloria”.
Sono tipi strani questi crossisti.
La sua superiorità sugli avversari è quasi irriverente, rende facili cose che decisamente non lo sono.
È gia una leggenda del suo sport, infatti in Italia è un semisconosciuto.
(http://shiatsu77.me/2013/09/20/minchia-che-roba/).
Alex Zanardi
Con lui il rischio di cadere nella retorica è alto.
È più alta la stima e l’ammirazione per l’uomo.
Anche il pilota non era male.
Tutte le squadre che hanno battuto la Juventus
Basta la parola.
Come il confetto Falqui.

Il Patto del Nazzareno prevede anche che possa aggiungere qualche nome spot: Stefan Everts (ha vinto dieci titoli mondiali di Motocross, ho detto dieci), Francesco Totti (è secondo solo a Baggio), Massimiliano Biaggi (quando vinceva non lo cagavo, l’ho apprezzato col tempo), Valentino Rossi (sempre tifato contro, ma certe cose erano notevoli anche per me), Nils Liedholm (sciao Liddas!), Gianmarco Pozzecco (un pazzoide), Manuel Rui César Costa (le sue verticalizzazioni ed i suoi assist erano meglio di un gol), Gabriel Omar Batistuta (con lui in campo si partiva perlomeno con l’1-0), il Torneo di Cola (perché era il Torno di Cola), qualche reminiscenza milanista (George Weah, Franklin Edmundo Rijkaard, Paolo Maldini e Franco Baresi), Miki Biasion (l’ultimo iridato italiano su macchina italiana nei Rally), Luca Cadalora (centauro fantastico), Carlo Mazzone (il calcio d’oggi non merita più uomini così), per finire con Oronzo Canà, Andrea Margheritoni e John Fashanu detto anche La Personcina (Peo Pericoli docet).
Lo so, ho esageratro.
Ma se mi venisse in mente qualcun’altro…

Oltre il mito, oltre la leggenda

28 Ago

Diceva Lucio Dalla: a chiunque voi chiediate cosa stesse facendo il pomeriggio del 01/05/1994 questi vi saprà rispondere con precisione.
Perché quel giorno morì a 34 anni (compiuti da poco) Ayrton da Silva, meglio conosciuto come Ayrton Senna.

In Senna sapevano convivere due fuoriclasse in perfetta simbiosi fra loro: l’uomo ed il pilota.
Quella di unire doti apparentemente in antitesi (o comunque recalcitranti fra loro) sarà una costante della sua vita e della sua carriera.
Aveva qualità talmente adamantine che la genialità pareva aver scelto lui per fare bella mostra di sé nella sua forma più pura.
Genio e regolatezza: in nessun altro pilota il talento fu più a così stretto contatto con la meticolosità.
Dopo una sonora sconfitta sull’acqua patita coi kart decise di allenarsi intere giornate sulla pista bagnata: su quella superficie diventerà letteralmente imbattibile.
Avete mai visto un brasiliano essere l’idolo dei meticolosi ingegneri giapponesi?
Ebbene sì.
Che fosse un predestinato lo si era capito da quell’esordio dirompente a Montecarlo, dove il fato – in una delle sue più brillanti intuizioni – gli farà incrociare Alain Prost e con un anelito sembrava avesse detto loro “Che il duello abbia inizio”.
Ayrton combatteva contro diversi rivali: gli altri piloti in primis, indubbiamente se stesso, ma anche la macchina e la fisica (non a caso si batterà contro la svilente elettronica che appiattisce i valori in gioco come in una Play Station).
Il suo inimitabile stile di guida (si può solo ammirare, in questo caso le immagini surclassano le parole) era pregno del rapporto primordiale fra l’uomo e la velocità: da bordo pista erano udibili le sue urla prima delle staccate più violente.
Ovviamente in punti dove osava farle solo lui.
Il fuoriclasse brasiliano dava sempre la sensazione di potersi inventare qualcosa in qualsiasi momento (“Non esiste una curva dove non si possa sorpassare”), quasi captasse sensazioni metafisiche.
Le sue non erano mai vittorie banali, erano la sublimazione delle stesse.
Il pathos che sprigionava Ayrton Senna nelle prove raggiungeva il suo parossismo a 5 minuti dalla chiusura.
Con lui in pista le qualifiche erano una gara nella gara (da vincere anche quella, of course).
E’ stata la sua smodata passione per le competizioni a fargli conoscere il limite: prima un obiettivo da raggiungere poi un compagno col quale convivere per un reciproco innalzamento di valori, un volano dello stimolo.

Il valore di un pilota non dipende dal numero di Mondiali vinti.
Dipende da come li vinci e contro chi li vinci (“Ho bisogno di fare qualcosa di speciale. Ogni anno qualcuno vince un titolo. Io voglio fare di più”).
Quella era la generazione di Piquet, di Prost e di Mansell.
E di auto dannatamente brutali.
Rivedere una camera card dell’epoca aiuta a capire che razza di mostri fossero da domare le monoposto di allora.
Schumacher, dall’alto dei suoi 7 titoli iridati (lungi da me da scatenare risse da Far West fra tifosi), quando ha incontrato piloti validi con auto affidabili (Hakkinen, Villeneuve, Alonso) ha dovuto alzare bandiera bianca pure lui.
Il campione di San Paolo usciva (spesso) vincitore anche nelle sconfitte (a Suzuka ’89, quando a fermarlo furono i giudici, cioè la Fia di Balestre) o nel ’93 quando su una Mc Laren imbarazzante ha innalzato il significato etimologico della parola capolavoro.
Asserire che con la sua morte sia finita anche la F1 può risultare eccessivo.
Affermare che un personaggio come lui non calcherà più il paddock è quantomeno sensato.
Avvalorando (forse) la prima ipotesi.
Era il più bravo ma è stato per lungo tempo anche il più osteggiato dal Palazzo: il già citato Jean-Marie Balestre (l’allora Presidente della Federazione) molto simpaticamente gli tolse un Mondiale per darlo all’amico Prost francese come lui e non smise di ostacolarlo quando poteva (sempre a Suzuka invertì la partenza dalla pole, fomentando l’altra storica collisione col pilota francese).
Giustizia e meritocrazia infatti erano fra i capisaldi del Senna-pensiero.
Capì subito (a proprie spese) cosa fossero i giochi di potere nella F.1, ambiente nel quale aveva pochi amici(Gherard Berger, il medico Sid Watkins e il team manager Ron Dennis) e che certo non gli si confaceva.
Proprio non digeriva, il tre volte campione del Mondo, la politica nello sport e lo sport della politica (“La Formula uno è politica e denaro.Quando non sei ancora importante devi affrontare questo tipo di cose”).
Non esiste un grande campione senza una grande rivalità.
Il suo rapporto Alain Prost era farcito di acredine, di incompatibilità, di rispetto sportivo (poi svanito anche quello), di risentimento e di odio.
Ma di Alain il campione brasiliano aveva bisogno.
Anche se un giorno, alla domanda su chi fosse stato il suo più grande rivale – da refrattario alla banalità quale era – Senna se ne uscì col nome del semisconosciuto Terry Fullerton, suo compagno di squadra ai tempi del kart prima di passare in F1.
Motivò la risposta affermando che quelle sfide erano pura guida, pura competizione, puro divertimento.
Che fosse anche un affronto a Prost, invece, non c’era bisogno che lo dicesse.
Ayrton era dipendente dalla sfida, viveva per vincere ma la semplice vittoria non gli bastava, voleva di più.
Ad una dolcezza da tutti riconosciuta affiancava una cattiveria agonistica spietata (“A volte le gare finiscono subito dopo il via e a volte a sei giri dalla fine…”).
Era sfacciatamente cinico (spesso il suo obiettivo era umiliare Prost), permaloso – credeva fortemente in quello che faceva – ma nelle sue vendette c’era un senso di giustizia per un torto subito.
Un animale da pista che però nel bel mezzo di un giro in qualifica (la sua specialità) seppe fermarsi, scendere dalla vettura e soccorrere il pilota Erik Comas (vittima di un pauroso incidente) salvandogli la vita.
E rischiando la propria.
La personalità del pilota brasiliano è un esempio didascalico dello scontro apollineo-dionisiaco narrato da Nietzsche.

Aveva un rapporto di profondo amore con la propria terra, che ripagava con l’orgoglio di rappresentarla da numero uno.
Il Brasile, paese dalle mille sfaccettature che più contraddizione non si può.
Si sentiva, Senna, in dovere di fare qualcosa per la sua nazione, per i poveri, per i bambini soprattutto, ma senza quell’ostentazione che rende quei poveri – offendendoli – ancora più poveri (“Non potrai mai cambiare il mondo da solo. Però puoi dare il tuo contributo per cambiarne un pezzetto. Quello che faccio davvero io per la povertà non lo dirò mai. La F1 è ben misera cosa in confronto a questa tragedia”).
Sapeva benissimo di essere il pilota più bravo ed assurgere ulteriormente quando già l’acme pareva raggiunto lo rendeva vivo.
Anche l’uomo-Ayrton era al centro dei suoi pensieri, non poteva esserci l’uno (l’uomo appunto) senza l’altro (il campione).
Legatissimo alla propria famiglia, non rinunciava alla bramosia, aveva una proprietà di linguaggio e una comunicativa mai visti prima in un pilota che strizzavano l’occhio alla filosofia.
Estoril ’85 (la prima vittoria), Suzuka ’88 (dal 14° al 1° posto che valse il primo iride) e Interlagos ’91 (prima vittoria in casa, le urla nel casco scolpite nella memoria e la Coppa alzata a fatica) sono esempi di misticismo nei quali dichiarò di aver avvertito la presenza di Dio.
Non occorre essere un seguace della fisiognomica (presente!) per intuire la personalità di Ayrton da due particolari del suo viso: il sorriso (dolce, quasi imbarazzato, che esplodeva di rado come per preservare una cosa preziosa) e gli occhi (caldi,profondi, ipnotici).
In apparenza tristi, forse per chi associa il pensare alla malinconia.
Felicità e pensiero possono convivere serenamente senza fare a cazzotti.
(“Se una persona non ha più sogni, non ha più alcuna ragione di vivere.Sognare è necessario,anche se nel sogno va intravista la realtà.Per me è uno dei principi di vita”).
A chi lo dipingeva come un folle kamikaze che in nome di Dio si sentiva immortale lui rispondeva che pensava anche alla morte, ma sognava la vita.
Si è sempre battuto strenuamente per migliorare la sicurezza dei piloti, consapevole che in un secondo ti può cambiar la vita (e così sarà).
Era animato da una profonda fede, ma lo potremmo definire più spirituale che religioso, anche nelle pieghe ad libidum (“Se nel ’94 avrò la macchina migliore è anche un diritto che mi sono conquistato”).

Una citazione che suona oggi quanto mai tetra.
Perché si deve per forza tornare alle immagini di quel maledetto fine settimana, toccanti ogni volta che le si riguarda.
Anzi peggio, strazianti proprio perché si conosce l’epilogo.
Mai visto Senna così turbato come ad Imola, in un Gran Premio dai tanti segnali (incidenti a ripetizione, Ratzenberger morto il sabato) e coincidenze (Ayrton che per la prima volta al via è nell’abitacolo senza il casco infilato), con la stessa dinamica dell’incidente che sembra avvalorare la tesi del disegno ultraterreno (a seconda in cosa ognuno creda).
Qualcuno – ricostruendo gli ultimi giorni della sua vita – assicura che Ayrton sapesse di andare incontro alla morte e quindi – per un credente come lui – incontro a Dio.
Senna rientra in quel novero di personaggi che parevano aver scritto – da soli o dietro l’influsso di qualcuno – il copione della propria vita, inserendo volutamente delle difficoltà per recitare meglio la propria parte, elevarsi e distinguersi dagli altri.
E’ morto giovane, in gara, dove era primo, ovvero il destino – fortemente cercato – della sua vita.
Era già mito e leggenda, è andato oltre tutto ciò.
Ci sarebbe andato comunque.

Articoli della rubrica Semplicemente Ayrton:

https://shiatsu77.me/category/semplicemente-ayrton-rubrica/

 

Nazionale?No, grazie.

30 Giu

Anche a questi Mondiali – esattamente come agli Europei di due anni fa – non ho tifato per l’Italia.
Perché è una Nazionale che non mi rappresenta, lo specchio di una Nazione che non mi rappresenta.
È la Nazionale che alla vigilia di Euro 2012 spedisce a casa l’indagato Criscito ma tiene l’indagato Bonucci.
È la Nazionale di Buffon (il capitano) che – sempre nello stesso periodo – lancia i propri strali contro le perquisizioni legate al calcio-scommesse (da noi i cattivi sono quelli che scoprono i reati, non quelli che li commettono).
È (era) la Nazionale di Don Cesare Prandelli, un ambasciatore della retorica idolatrato e beatificato (perlomeno fino ai Mondiali) ad ogni piè sospinto.
Prima il sermone, poi i peana in un intricato gioco di causa-effetto.
Per l’ideatore del codice etico (applicato molto eticamente:tu sì, tu no) mancava solo il Santo subito per coronare l’agiografia.
È la Nazionale di Cassano, la cui indisponenza didascalica riesce ad avere la meglio su un talento ormai impigrito pure lui.
Rovina il gruppo, non incide, non s’impegna, la sua avventura in azzurro è finita: già sentite queste frasi?
È la Nazionale di Balotelli, tratteggiato da sempre come un predestinato, che anziché calare gli assi colleziona bluff.
È un campione perennemente ipotetico che – nel Paese che ha discusso Rivera, Mazzola, Baggio e Totti – gode di un credito spropositato che lui sperpera con sufficienza.
Per capire cosa spinga tanti ragazzini ad elevarlo a propria icona non credo sia sufficiente leggere Critica alla ragion pura di Kant.
Gode di una popolarità inversamente proporzionale a quanto dimostrato finora: la cresta come metro di giudizio.
In Balotelli poi c’è una sorta di razzismo al contrario.
Al netto dei soliti idioti, quando viene subissato di buuu il colore della sua pelle c’entra poco o nulla.
Il suo atteggiamento – che trasformerebbe Gandhi in un Ispettore Callaghan – invece parecchio.
Balotelli è, suo malgrado, un fotogramma del film “Qui Italia, a voi resto del Mondo”, riproposto all’inverosimile, dalla trama risibile ma che il pubblico mostra ancora di gradire.
La sceneggiatura (per sommi capi): c’è da risollevare il nostro Stato, un modesto personaggio viene insignito del ruolo di salvatore, lui ha capito gli errori del passato, non può più fallire, è l’ultima chance anche perché dopo di lui il diluvio, la rinascita parte da qui, bla bla bla.

Più che una squadra, la compagine italiana, sembra il regno dell’ ipocrisia, il trionfo dell’autoreferenzialita’ e della cooptazione.
Ai risultati (modesti) risponde coi proclami.
Se in alcuni Stati le Nazionali fungono da oppio per il popolo, da noi la selezione azzurra è uno spot di un prodotto (il Paese, appunto) che non esiste: coeso, efficiente, capace, meritocratico.
E’ il vessillo di un’immagine artefatta (da altri, è vero) nella quale però gli addetti ai lavori si sono calati nella parte da attori consumati.
Cambiano i tempi e di conseguenza i protagonisti.
Se la Nazionale potesse voltarsi all’indietro tingerebbe le maglie di amarezza e malinconia.
Pensando al vocione crea-tormentoni di Bruno Pizzul, a suo modo nazionalpopolare (e quanto mai rimpianto).
Ascoltando oggi Beppe Dossena, a suo modo Beppe Dossena (il rimpianto è di non aver cambiato canale): uno che sputa sentenze ma che da allenatore non ha vinto nemmeno un torneo di Subbuteo giocando da solo.
Oppure socchiudendo gli occhi per far volare la mente ed il cuore a Roberto Baggio, uno che incarnava la maglia azzurra, anzi ne era la quintessenza.
Tra i vari doni che la Natura gli ha riservato (salvo farglieli pagare caro col dolore degli infortuni) c’era la capacità ecumenica e taumaturgica di unire tutte le tifoserie d’Italia.
Nel suo corpo brevilineo l’uomo riusciva a tenere testa al fuoriclasse.

Quando si vince tutti sono simpatici (Lippi e Capello potrebbero non essere d’accordo).
Nelle sconfitte è più difficile indossare una maschera.
Ecco a voi l’arbitro brutto e nero, il caldo (difatti il Costarica e l’Uruguay quando ci hanno battuto hanno giocato 6 ore dopo di noi: la nuova frontiera della differita), il vento che insolente non aveva avvertito Caressa della sua direzione.
Mancava solo che qualcuno dicesse “Il Brazuca è nostro e voi non giocate più”.
L’Italia ha scelto come pagliuzza il morso di Suarez.
Ma forse per mandare in crisi questa squadra sarebbe bastata una pernacchia.

Minchia che roba!

20 Set

E’ giovane, carismatico ed in sella alla sua moto ha appena vinto il suo quinto titolo Mondiale nella classe regina (il settimo in carriera).
Poteva essere l’identikit di Valentino Rossi fino a qualche stagione fa, prima che il campione di Tavullia si abbonasse al quarto posto.
Stiamo invece parlando di Antonio Cairoli detto Tony, messinese (è di Patti), di professione pilota di Motocross.
Lo so, tutti (o quasi) non sapranno di cosa stiamo parlando.
Un po’ quello che successe qualche anno fa ad un congresso di un partito, quando Gianfranco Fini osò pronunciare la parola legalità (vade retro Satana).
Tony Cairoli è al momento lo sportivo italiano più vincente, talentuoso e spettacolare che ci sia.
Proprio per questo è più facile che sia conosciuto il 26esimo straniero dell’Inter anziché l’alfiere della Ktm.
La sua superiorità sugli avversari è quasi irriverente, rende facili cose che decisamente non lo sono.
E’ un mix di classe e coraggio, che affascina (i tifosi) ed è fonte di imbarazzo e frustrazione (per gli avversari).
Punta dritto al record dei 10 Mondiali del grande Stefan Everts (che oggi è il suo team manager).
In inverno –anziché godersi il clima mite della sua Sicilia- passa 2 mesi in Belgio ad allenarsi sulla sabbia.
Si è tatuato la frase “Velocità,fango e gloria” .
La personale sintesi di se stesso.
D’altronde sono dei tipi un po’ strani questi crossisti.
Per rendere ancora più epica la propria agiografia, Cairoli corre (per scelta) con una moto di 350 cc di cilindrata, quando gli avversari hanno delle 450.
In sella da quando era in fasce, lui e la sua moto sono una spiegazione pratica del concetto di simbiosi, mentre la sua grandezza è inversamente proporzionale alla statura (è comunque più alto di Brunetta).

Negli sport a motore il Motocross sta al Motomondiale un po’ come il Rally alla Formula 1.
Pur essendo altrettanto scenografici (forse anche di più) devono accontentarsi delle briciole.
Un mistero irrisolto, come cercare di capire perché Marco Balestri conduca una trasmissione radiofonica.
Potere degli sponsor, si dirà.
Anche, ma non solo.
Per uno strano scherzo del destino (anzi, dell’intestino) sono diversi gli sport ad essere ghettizzati in nome di deliranti precetti legati alle “esigenze televisive”.
In realtà è una conferma del potere dei mezzi d’informazione che creano e soffocano miti a loro discrezione.
Il Mondo ci invidia Cairoli (ha avuto tantissime offerte per andare nel fastoso Supercross Usa ma ha preferito rimanere in Europa) e noi a malapena lo riconosciamo per strada.
Le sue vittorie (anche quelle che valgono l’iride) sono relegate a trafiletti nei quotidiani sportivi.
Giusto, meglio parlare degli amplessi di Boateng con la Satta, dei capricci di Cristiano Ronaldo (Ueeeh, voglio l’aumento!), della forfora al parrucchino di Antonio Conte o delle infatuazioni quindicinali della Federoca Pellegrini.
Pochi invece gli speciali sul tartaro di Moratti.

Già, l’egemonia culturale del calcio.
Siamo arrivati a considerare Enrico Variale un guru dell’informazione sportiva.
E ho detto Varriale, cazzo.
Pendiamo dalla cresta e dagli orecchini di Balotelli.
E quindi siamo messi davvero male.
Chi scrive ama anche il calcio, o meglio amava.
Quando c’erano i due/tre stranieri per squadra, quando si giocava alla domenica pomeriggio e le Coppe al mercoledì, quando la Televisione non si era fagocitata uno sport bellissimo ma talmente stuprato e svuotato della sua poesia da non aver quasi più nulla da raccontare.
Senza perdersi nella notte dei tempi, si rimpiangono gli anni in cui c’era un sapore che ammaliava, oggi la differenza fra il calcio giocato ed un’asettica Playstation è labile.
Anche un luogo sacro come lo spogliatoio è stato violato dalle telecamere, i calciatori devono smadonnare con la mano davanti alla bocca.
“Dottore, non sto bene!”
“Mi faccia vedere le analisi…Ah, lei ha assunto troppo calcio, è necessaria una dieta di sport più variegata”

P.s. A Carnevale voglio travestirmi da Paola Ferrari.
Ho già chiesto all’Enel un impianto mobile trifase a 400 V e direttamente da Fukushima mi arriveranno a breve i trucchi con i suoi colori originali (introvabili).
Sto cercando qualcuno che faccia la parte di Ivan Zazzaroni e Marino Bartoletti.
No perditempo.

Il Maestro boemo

6 Ago

“All’ombra dell’ultimo sole, s’era assopito un pescatore e aveva un solco lungo il viso, come una specie di sorriso”.
Il pescatore è boemo, sbarcato a Palermo per poi girare tutta l’Italia – e non solo – come un apolide.
All’anagrafe fa Zdenek Zeman.

Ammiro quest’uomo dalla 1^ giornata del campionato 1991/92.
Il suo Foggia esordisce in A a S.Siro contro l’Inter di Corrado Orrico (quella del WM, dei tanti proclami, sappiamo come è finita…) e pareggia 1-1 giocando in modo sfrontato, irriverente, spettacolare.
Non fu un caso, sarà sempre così.
E per questo – e non solo – che Zeman o lo ami o lo odi: una delle tanti costanti di tutta la sua carriera.
Il boemo è un’antidoto contro il compromesso, contro l’ipocrisia, contro la noia.
In un dizionario illustrato la sua foto comparirebbe accanto alle parole idea, coerenza, coraggio.
Legatissimo ai propri ideali che tante volte lo han fatto soffrire nella carriera, ma senza i quali non sarebbe se stesso.

Bello veder giocare le sue squadre ma anche sentirlo parlare.
Concetti in formato bignami (Zdenek centellina le parole) ma con dei contenuti filosofici, semplici e lineari per questo invisi a tanti, preceduti da quella tipica espressione della bocca che lascia presagire qualcosa di buono.
Il “Io faccio calcio, Moggi no” è la sintesi di tutto questo.
Il passo del Vangelo “Si si, no no, il di più vien dal maligno” esprime bene il suo essere.
Una cosa è giusta o sbagliata, lecita o vietata.
Come tutte le cose impermeabili alla razionalità Zeman riesce a dividere anche sui fatti tangibili, misurabili.
Non ha mai vinto niente, è la litalia dei suoi detrattori.
Come se salvare più volte il Foggia (l’ultimo anno con una squadra imbarazzante), sfornare – anzi inventare – un paio di campioni all’anno, salvare il Lecce (dove sulla fascia giocava Erminio Rullo…) e far promuovere il Pescara in A fossero delle imprese meno epiche.
Solo chi vince può parlare?Per la cronaca lo scudetto in Italia lo hanno vinto anche Ottavio Bianchi ed Albertino Bigon…
Dopo ogni intossicata dal Dio pallone (frequenti come le crisi delle Borse) la gente riscopre Zemanlandia, si ri-stupisce dei gradoni (“I miei metodi non hanno mai ammazzato nessuno”, “C’è della gente che va a correre gratis”), sorride sulle troppe sigarette fumate.
Ma come dice lui “Faccio lo stesso tipo di gioco da 30 anni…”
Troppo avanti agli esordi, troppo avanti ancora oggi in un mondo – quello del calcio – che è uno specchio della società all’ennesima potenza.
Dato che non sarà mai il suo tempo noi siamo con lui.

Piccole stelle senza campo

1 Ago

Come sono lontani i tempi in cui chi veniva beccato in castagna si vergognava, spariva,  aveva il buon gusto di tacere, di non farsi più vedere e pagava in silenzio le proprie colpe. Durante tangentopoli qualche politico dalla vergogna si è tolto la vita.
Poi è arrivato qualcuno(Craxi Benedetto detto Bettino) ed ha mutato il rapporto reato-indagato con lo storico “Tanto rubiamo tutti” – come se commettere un reato in molti, che ne so uno stupro, ne attenui la gravità – dopo si è giunti al teorema delle persecuzioni (“Ce l’hanno con me”), all’alibi di un altro reato (“Si sono colpevole ma non ho mica ammazzato nessuno”) per evolversi fino allo scajolano “A mia insaputa”. Anche se qui siamo passati all’avanspettacolo.
Prendiamo il caso della Juventus, presa con le mani nella marmellata grazie alle solite intercettazioni su dei fatti che erano chiari anche agli occhi di un bambino.E’ stata punita, si è disinfestata da certi dirigenti – almeno ufficialmente – è ripartita e dopo qualche anno di magra ha messo in piedi una gran squadra (temo che rimarrà ai vertici per un pò) ed ha rivinto.
Ed ecco che come una lima sorda il suo Presidente, continua a baccagliare sulla storia dei 30 scudetti sul campo e della terza stella, unito – già che c’era – ad un vittimismo ancestrale sfidando e calpestando a suon di sofismi la Legge, il buon senso ed il buopn gusto.
Un pò come se Ben Johnson avesse continuato a dire che l’oro di Seoul nell’88 sui 100 metri era suo perchè in pista arrivò davanti a tutti. Poi che fosse un’attimo dopato sono quisquiglie.Parimenti, la Juve in campo fa effettivamente vinto, ma che le partite fossero un pò pilotate e/o indirizzate al puntuale Andrea Agnelli non interessa.
Possiamo comprendere che essere stato scalzato dai fratelli Elkan per l’eredità della famiglia Agnelli abbia disturbato il preciso Andrea, in una corsa tra ram-polli che delinea il livello dell’aristocrazia italiana.
Ma questo suo integralismo mediatico- un mix tra Mughini e Idris per rimanere fra i tifosi più equilibrati della Vecchia Signora – credo vada a discapito proprio dei tanti supporter della Juve, che iniziano fortunatamente a storcere il naso dinanzi ai deliri del Presidente.
Mendel per le sue teorie sui caratteri dominanti si era avvalso dei piselli, noi per capire quelle sugli scudetti revocati ci affidiamo ad Andrea Agnelli.