Passava di lì ed erano riusciti a strappargli un sorriso. Non avevano fatto niente che sarebbe finito sui libri di storia e/o di sociologia, eh, però vedere dei ragazzi interagire fra loro senza scancherare col cellulare per oltre sei minuti consecutivi e per di più intenti a parlare di musica, beh, gli aveva regalato una bella sensazione. Certo, si esprimevano in un linguaggio veramente merdoso con dei termini da cerebrolesi che ogni volta che ne sentiva uno scattava automatico un “T’an po mia” (Non puoi mica, nda) preceduto da una bestemmia. La bestemmia cambiava ogni volta, il “T’an po mia” invece no. (Fungere da rafforzativo è una delle varie funzioni della bestemmia, sempre che sia usata correttamente. Potrebbe uscire qualcosa al riguardo, non è escluso). Poi, con una prosopopea inversamente proporzionale alla carta d’identità ed un tasso di fanatismo allineato alla società che li ospita, sparavano sentenze tipo Cassazione a sezioni unite su come la musica fosse un fenomeno nato dopo gli anni Duemila, o quasi. Sentenze alla cazzo di cane, quindi. Per la portata delle loro tesi sembravano un misto fra i nazisti dell’Illinois e un movimento a caso della “sinistra” fucsia e arcobaleno.
Al netto di queste premesse e nonostante le nuove leve gli stessero mediamente in cima alle palle, spesso ricordava a se stesso che una delle peggiori generazioni era proprio la sua (presenti ed amici stretti esclusi). E come uno che aveva la pezza da attaccare in canna, rallentò il passo e senza che si diano troppe spiegazioni sul come, era lì pronto a dire la sua. Che poi le spiegazioni si possono anche dare: il tempo trascorso nei bar della montagna negli anni Novanta qualcosa aveva insegnato.
” Ragazzi, ma sono in ritardo di quaranta/cinquant’anni con sti atteggiamenti qua, tutta roba già vista…”
” Il compito dell’artista, del musicista, è liberare la propria personalità, fissare nuovi parametri, mettere in discussione tutte le strutture che infatti scricchiolano, alzare l’asticella, possono dare fastidio, ma non siamo più nel Novecento”, rispose tranquillo, ma convinto, uno del gruppo, visibilmente soddisfatto della risposta “matura” data al dirimpettaio maturo (stavolta senza le virgolette).
” Non siamo più nel Novecento, ma la versione originale di queste provocazioni si è vista proprio nel Novecento”
” Eh se…”
” Adesso la chiamano sessualità fluida, giusto? (accompagnato da un eloqunte gesto con le mani come dire “Du palle!”) ed è uno dei termini che ormai propinano anche nelle mense scolastiche, un trasgressivo-istituzionale….Mai sentito parlare di David Bowie? Ecco, magari prima ascoltate un po’ di cose sue, poi andate a rivedere il suo estetismo ambiguo, potente, magnetico, raffinato. Erano gli anni Settanta e lui è stato uno dei primi…”
” Beh, va bene, adesso qualcuno si sarà un po’ ispirato a lui, è normale prendere qualche spunto, no?”, intervenne uno alto e secco.
” No, lo han copiato, pari pari, e pure male. Io non lo so se a Bowie piacesse la figa e anche il cazzo, se la sua era una battaglia di libertà, un desiderio di provocazione, una mossa commerciale o tutte le cose assieme, ma gli va dato atto di essere stato un precursore, e io non sono un fanatico delle ostentazioni sessuali. A questi di oggi magari piace sia la figa che il cazzo, ma perché gli han detto che è il modo più rapido per far parlare di sè…”
” Non è che sei un po’ bigotto?”
“E bacchettone?” aggiunse a rimorchio il primo che era intervenuto.
” Ecco, pure del bigotto, a me…A proposito di bigotti, nell’Italia degli anni Settanta di bigotti ce n’erano per davvero – oddio, ce ne sono sempre troppi di quelli – e serviva un certo coraggio per presentarsi sul palco come faceva Renato Zero, con le sue tutine, le mosse istrioniche, gli ammiccamenti, le allusioni, gli sdoganamenti. Le prime volte lo perculavano, ma bastava ascoltarlo e anche l’ala oltranzista della Santa Inquisizione ammetteva che musicalmente era una bomba, o forse non lo ammettevano proprio perché erano della Santa Inquisizione, ma le sue canzoni le canticchiavano anche loro e magari ci si ritrovavano pure, sti trucidi…Per fare un paragone con uno di oggi, Achille Lauro vive di colpi di scena, glieli chiedono, sempre di più, ma dietro quelle impalcature e quei trucchi da Cinecittà, di musica se ne respira poca”
” Paragoni epoche differenti, oggi c’è più coraggio e in tanti compiono atti che prima intimidavano”
” A me sembra più una ribellione codificata, una trasgressione indotta e costruita a tavolino, figlia del Pensiero Unico liberal progressista che ci vuole tutti ibridi, come le macchine, né carne né pesce, una sorta di veganesimo antropologico, toh, una massa molliccia ed inerme senza identità propria che, vanesia, si fregia di inutili libertà ed è convinta di poter fare il casino che vuole, peccato che lo spartito l’abbia scritto qualcun altro. Si atteggiano da ribelli, ma sono degli adepti del nicodemismo. Oltretutto quando la provocazione è teleguidata escono degli album di plastica, artefatti, vuoti, speculari alla società capitalistica occidentale. Sulle note di un brano di Elio e le Sorie Tese sembra che cantino <Siamo tutti servi della Nato…>”
” Ah, quindi per te i temi LGBT, dell’identità di genere e di tutte le forme di discriminazione non esistono ed un artista non dovrebbe esternare le proprie opinioni?” disse una ragazza dall’aspetto intrigante nonostante una frangetta da denuncia per crimini contro le acconciature e l’umanità.
” Le minoranze dovrebbero sempre essere tutelate, solo che oggi il turbo-liberismo vuole che siano la regola e discrimina chi non ne fa parte, utilizza questi temi civili solo per togliere quelli sociali e per rincoglionire per bene la testolina e per stringere la vera libertà. Pasolini lo aveva capito già durante il Sessantotto, la maggior parte non lo capirà manco fra altri 68 anni. D’altronde lui era un genio. Sono i temi calati dall’alto dal Potere, quindi non è ribellione, e quegli artisti sono servi. Per me non sono neanche artisti”
“Ma un artista potrà ben fare quello che gli pare???” e stavolta più che intrigante era proprio incazzata.
” Mica posso impedirglielo, l’artista ha tutto il diritto di diventare l’aedo del sistema dominate, io ho il diritto di contestarlo e dire che lo detesto. Il sistema e anche lo pesudo artista. Poi anche i gesti vanno interpretati, contestualizzati, criticati. Prendi quella cantante metal che ha fatto sdraiare sul palco un fan del pubblico e poi gli ha pisciato in faccia… “
” Oh, quella è roba strong anche per me raga, però mica tutti avrebbero il coraggio di farlo”
” Anche lì, mossa figa se vuoi – notate il gioco di parole, ah ah ah!!! – peccato che quarant’anni fa ci fu chi cagò sul palco e penso venne arrestato, e altri fecero anche schifezze peggiori. Un atto sovversivo in ritardo perde di valore, diventa una triste massificazione. Tra l’altro, non c’entra niente, ma questo aneddoto della pisciata mi ha fatto venire in mente quella volta che ero a far visitare mio figlio e ad un certo punto il pediatra rispose ad una telefonata di una mamma che gli chiedeva da dove uscisse l’urina della figlia! Il pediatra gli disse che la mamma e la figlia pisciavano allo stesso identico modo, sempre da lì”
” No dai, come fai a chiedere una cosa così, out a vita!” commentò la tipa con la frangetta rasserenatasi un po’.
” Pensa a quando la figlia inizierà ad avere le sue cose…”
“Usciranno nuove teorie ginecologiche!”
“Sai cos’è il coraggio? Non è farla vedere sul palco o lasciare un ricordino organico , per quello basta un beriago. Il coraggio è scrivere, nel pieno degli anni impegnati, da te, artista impegnato e schierato, un album altamente provocatorio proprio verso il tuo pubblico (di impegnati) e svelarlo a loro dal vivo, a teatro, dicendogli in faccia che non solo ti hanno stufato, ma ti fanno proprio schifo e che non vuoi avere più nulla a che fare con della gente così. Che erano poi i padri putativi di questi pseudo intellettuali chierici di sinistra la cui massima battaglia è il bagno indipendente per i transgender. Il coraggio è quello che ebbe Giorgio Gaber – è di lui che sto parlando – a sciabordare delle frasi violente che riuscivano solo a lui quando era indignato, incazzato e nauseato. E il pubblico degli impegnati, il suo pubblico, non la prese bene…Ma, vedi, invece il problema di queste trasgressioni alle vongole veraci è che spesso nascondono una qualità inesistente, l’impegno l’han messo tutto in queste amenità… non mi viene il termine, amenità contemporanee. Bowie e Zero che vi ho citato prima erano teatrali a bestia ma musicalmente erano dei fenomeni. La qualità nella musica esce dal talento e dall’ispirazione: oggi l’ispirazione gliela confezionano quei fiji de na mignotta dell’Ufficio Comunicazione e Marketing ed il talento per capire chi possa andare avanti lo misurano con la stadera dei talent, solo che la musica non nasce in televisione, ma per strada, nei bar, nelle cantine, nei club, è un’altra cosa. Comunque è giusto che voi ascoltiate la musica del vostro tempo e seguiate questi artisti, non dimenticate però ciò che c’è stato prima, vi si apriranno dei Mondi”
“Vuoi dire che ai tuoi tempi la musica era migliore e gli artisti tutti integerrimi e spontanei?” buttò lì una tipa che probabilmente aveva imparato il giorno prima il termine integerrimo ed era quindi impaziente di utilizzarlo davanti ad un matusa, ma che con la sua domanda aveva innalzato il livello della discussione.
” La musica sicuramente sì! E ve lo dice uno che di musica di merda ne ha ascoltata parecchia, ai tempi. Ma anche di bella, e quanta ne sto ancora scoprendo! All’estero ci sono delle cose piacevolissime anche adesso, fatte bene per davvero, magari non inventano niente di nuovo ma chi se ne frega, miscelano trenta/quarant’anni di generi alla grande, mentre in Italia la situazione è raccapricciante, anzi molto peggio, perlomeno nella roba mainstream, in quella di nicchia non so, non ho abbastanza tempo. Invece gli artisti dei miei tempi….” e l’ultima frase si rivelò peggio di un lifting da quanto avesse modificato la sua espressione.
“Invece…” accompagnò la tipa con un occhietto furbo di chi aveva nasato aria di abiura.
“Sugli artisti fino a qualche anno fa lo pensavo, che fossero integerrimi, ne ero convinto, ora no. Guccini parla delle primarie del partrito più liberista e a destra d’Italia, Pelù che fa da megafono alla Gretina e combatte contro il gas russo, Bruce Springsteen e i Green Day che inorridiscono solo quando il presidente americano è un repubblicano, a targhe alterne, Bono che…va beh, Bono è l’industrializzazione estrema dell’artista impegnato e buonista al servizio del sistema di comando, serve solo a confermare i dubbi su quelle organizzazioni di filantropi. E l’elenco sarebbe lungo, come la mia delusione. Forse l’unico rimasto credibile è Roger Waters, uno con le palle per criticare anche gli intoccabili, infatti spesso lo dipingono come complottista e paranoico”
” Oltre i quarant’anni diventi vecchio e ci sta cambiare idea” sentenziò col sorriso uno che finora era rimasto nelle retrovie, anche perché così poteva guardare il culo alla tipa e non la sua frangetta.
” Alla tua età avevo i parametri sportivi per definire la giovinezza e la vecchiaia. Fino a 25 giovane, a 30 maturo, a 35 da pensione, dai 40 da dentiera…Può essere quello che dici, ed anche il successo in un certo senso è calmierante, che se ci pensi è un assurdo, un controsenso, hai soldi e fama e potresti dire a fare quello che vuoi invece no, ti allinei per restare a galla e ingrossi le fila di quello che tira di più. Oggi sono in tanti ad essere talmente allineati che riesci solo a scorgere il primo della fila. Meglio, tra l’altro, così ne vedi uno solo. Oppure mentivano anche prima e lo facevano da furbi”
” Sei disilluso?”
“Un casino, però mi è servito per imparare che occorre dividere l’artista dal suo prodotto, il messaggio dal suo comportamento, la musica è totalizzante, noi dobbiamo discernere. Resta il fatto che fino agli anni Novanta le cose prodotte creavano comunque cultura, avevano dei contenuti, stimolavano pensatori e contestatori, ti formavi in tutti i sensi. Poi ovvio, hanno formato anche delle grandi teste di cazzo…
“Oh vecchio – no, cioè, vecchio è un modo di dire eh…- ti stai contraddicendo, prima ci dici che la vecchia musica era la più bella del Mondo e poi che quegli artisti ti hanno deluso…”
“Un percorso artistico completo quindi! Uno dei problemi è il diverso rapporto col periodo storico di riferimento, oggi si pensa di influenzarlo, di indirizzarlo, ma lo si subisce come un armadio che ti cade addosso mentre sei sdraiato sul letto, manca la curiosità, sia a scovare qualcosa nell’immediato per stupire, sia a rievocare dal passato, a prendere spunto, non si attinge e non si semina, è in atto un cesoiamento storico”
“Ma se adesso anche in Italia abbiamo finalmente una grande rock band…” replicò il ggiovane pensando di aver fatto scacco matto.
“Bravo, hai fatto proprio l’esempio giusto! A certi gruppi rock italiani i Maneskin non potrebbero neanche andare a pulire le chitarre o asciugare il sudore dalla fronte. L’elenco è lungo una cinquantina d’anni, ma a questi prezzolati addetti ai lavori il rock italiano è apparso adesso, come una folgorazione, tipo la Madonna a Brosio o della macelleria sociale ad un tecnocrate liberista”
“Però scusa, parli di musica, probabilmente ne saprai anche, ma ci butti sempre dentro collegamenti con la politica e roba simile…” e l’espressione corrugata non riuscì a celare il suo disorientamento.
“E’ proprio quello che vogliono, rendere la musica un monolite, un format, come dicono oggi, da utilizzare in Mp3 per andare a correre o per l’aperitivo in piscina, estraniando tutte le sfaccettature che rendono la musica una delle forme artistiche e culturali più complete. I ragazzi come voi devono staccarsi da queste matrici imposte, noi non lo abbiamo fatto, la mia generazione più si è tatuata più si è alienata. Siete ancora in tempo, ma dovete fare inversione adesso se no finirete nel burrone della lobotomizzazione. La musica può salvarvi. Ma la musica vera”
Superclassifica Show
6 OttTempo fa un’amica di Facebok, di qualche anno più giovane di me, scrisse un post che recitava più o meno così “Ho scoperto di adorare i Pink Floyd, mi sono messa ad ascoltare la musica delle persone grandi!”
Sensazionalismo non pervenuto,ricerca di like assente, poca propaganda, tanta introspezione: insomma, apprezzai molto la riflessione – probabilmente per una convergenza di percorsi musicali – e con la curiosità di uno che intuiva ci sarebbe stato del materiale da sociologia spiccia, mi misi a scorrere i commenti.
Quello di leggere i commenti su Facebook, a prescindere da cosa verta la questione, è un attività che potremmo catalogare fra le antinomie: è oggettivamente tempo perso ma è altresì un termometro oltremodo preciso per misurare la deriva cognitivo comportamentale della società.
Messi davanti al più disparato argomento, o ad una semplice proposizione, la gente si comporta come nella vecchia pubblicità di una famosa merendina, dove al protagonista si chiudeva letteralmente la vista a causa della fame.
(Mi scuso per l’esempio d’antan ma non sono più un gran divoratore di televisione).
Qui la fame non c’entra – anzi, mangiamo pure troppo! – ma il tasso di lucidità e acume speso nei social raggiunge le stesse vette.
Cioè il rasoterra.
E per qualcuno i social e la vita reale sono due sinonimi, due ambienti talmente fungibili da risultare perfettamente sovrapponibili, dove però i primi hanno estirpato l’essenza della seconda insediando i propri tratti somatici e cancellando senza nessuna remora tutto ciò che non gli si confà.
Il social non riempie una parte della vita, il social ha invaso la vita, l’ha fagocitata, nessun prigioniero, tutti ostaggi.
E’ anche per questo che non tolgo certe amicizie su Facebook di persone che in comune con me hanno giusto il funzionamento dell’apparato respiratorio nonostante mi infastidiscano più del polline in un maggio ventoso: sì, perché passata l’iniziale rosga da compatimento e tirato quel paio di doverose bestemmie, costoro mi aggiornano su dove siamo arrivati in termini di massificazione, alienazione del pensiero e pigrizia mentale.
Sono pochi – devono essere pochi, pochissimi, ogni tanto il ripulisti su Facebook è un autentico salvavita – ma paradigmatici, la perfetta mimesi di una società liquida e rigida, libertaria eppure tanto opprimente, emancipata ma eterodiretta.
Il titolo di studio, le conoscenze, il background e la cultura, lo scibile, non c’entrano nulla, si tratta dell’atteggiamento scelto per stare al Mondo: darsi la possibilità di muovere testa e piedi come e dove vogliamo o farsi scavare una buchetta in apparenza comoda e pure coinvolgente su cui appoggiare il culo per poi non spostarlo più, ma credendo di poterlo fare.
Il commento che cercavo era un po’ nelle retrovie, ma c’era: inutilmente tronfio, arbitrario, grondante di superbia come solo un concetto decontestualizzato buttato lì alla cazzo di cane può essere.
Lo sconosciuto chiosava, pressappoco, un serafico “I migliori sono gli U2, nessuno è come loro”.
Ricordo che scossi ripetutamente il capo sorridendo amaramente, quasi volessi col movimento della testa cancellare quell’uscita, eliminarla, ripetendo un lavacro t’an po mia (non puoi mica in dialetto), ignorando ingenuamente che anche se ci fossi riuscito mille altri commenti simili avrebbero contemporaneamente invaso (e infestato) sterminate pagine del social più famoso al mondo.
Transitarono nella mia testa una raffica di considerazioni, mi sentivo come un tizio posizionato dietro un guard rail e loro (le considerazioni) sembravano tante auto che sfrecciavano una dietro l’altra a poca distanza da me, non faceva in tempo ad esaurirsi l’eco di una, che già appariva quella successiva in un ciclo continuo.
Di primo acchito pensai che a giocare coi Pink Floyd a chi ce l’ha più duro si rischia di uscire come uno che vuole sbancare il Casinò, o semplicemente è un atteggiamento che ricorda quel tale che voleva insegnare ai gatti a rampare.
Subito dopo immaginai di avere dinanzi a me l’uomo della sentenza, visto che la mia invettiva da tempo insisteva per fare conoscenza di tipi come lui.
Perché hai tirato fuori gli U2 – che qui si stava parlando di tutt’altro, della metamorfosi musicale di una ragazza al cospetto di una band che ha rivoluzionato la musica e a cui la Storia ha chiesto arrossata un autografo con dedica?
(Sia detto senza ambiguità, anche gli U2 hanno fatto cose pazzesche, poi, che io non riesca più ad ascoltare i loro lavori da un ventennio, un po’ per quello che producono, un po’ per quel filantropone del loro leader, rimane una questione fra me e me).
Non ce la fai a scrivere un commento su qualcosa che esuli dai tuoi idoli senza nominarli?
Se non ci sono i tuoi beniamini, non si può andare avanti?
Guarda che non ti è vietato apprezzare (giustamente) gli U2 assieme ad altri musicisti, e non per forza i Floyd – il proselitismo non mi ha mai arruolato tra le sue file – lungi da me giocare al purista, potresti amare allo strenuo anche Jem e le Holograms, i Righeira e Pietro Galassi e ti farebbe solo bene così avresti perlomeno allargato gli orizzonti, dove cazzo hai letto che si deve apprezzare un solo artista nella vita, nelle istruzioni di una crema rettale?
Non accontentandoti di professarlo, perché diffondi urbi et orbi il tuo fanatico monoteismo?
Abbandonalo e diventa un po’ più pagano!
Nel commento del tizio si fondevano tracce di tifo, egocentrismo, incasellamento, e di quel fenomeno che gli esperti del commerciale chiamano clusterizzazione, termine involontariamente onomatopeico, tant’è che a me ricorda la parola clistere.
Quel commento è il figlio unico del Tutto che deve seguire un format da approfondimento pay tv, o da sondaggio pagina Facebook.
Si deve stanare il tifoso, aizzarlo, trasformare a sua volta l’appassionato in tifoso e ricondurre tutti nell’architettura più controllabile e dal facile audience, ed ecco servita la stortura della classifica-mania.
Stuzzicare l’animosità ed il bisogno di idoli crea un esercito pugnace da dividere in fronde che garantisce cieca fedeltà, obbedienza ed esecuzione di lavori più o meno sporchi.
L’arte, lo spettacolo, lo sport – essenze di per sé libere ed incomprimibili – devono essere catalogate e declinate, quelli del marketing sono stati chiari.
Per ogni disciplina ci vuole la classifica generale, del momento, di tutti i tempi, divisa per decenni, poi di ogni categoria, ruolo e di genere.
Gustarsi lo spettacolo senza fare confronti e senza stilare classifiche a getto continuo appare ormai dissacrante, demodè, controfattuale, anche il lessico non prescinde da epiteti iperbolici che conducono ad una dimensione di perenne bombardamento mediatico (in nome dei like e dai followers) impregnata dei nuovi mali che ci stanno portando alla nevrosi: la competitività e la visibilità.
Siamo in gara, anche quando non lo sappiamo, e vogliamo che la nostra personale classifica primeggi su quella degli altri, non sappiamo più discutere senza che una flotta di graduatorie pronto uso ci appaia nel cervello alla stregua di un menu a tendina e friggiamo se gli altri non ne vengono a conoscenza.
Il commento è anche un pretesto per esternare, in quella che hanno spacciato essere una conversazione, le proprie convinzioni senza preoccuparsi minimamente che qualcun’altro possa partorire delle opinioni degne della nostra, una evidente sublimazione di onnipotenza, l’ostentazione di un’infingarda libertà di espressione che certifica la solitudine e l’isolamento delle comunità virtuali.
Assomiglia allo scambio di persona, si confonde la competenza con lo snocciolare inutili dati statistici, alla passione si preferiscono amenità imparate a memoria, la tecnica è sostituita dal bieco tifo, e come risultato si generano tanti Sapientino e si annientano altrettanti intenditori, perché agli occhi di uno sprovveduto, di un inesperto, o di un ragazzo, chi erige queste riverberanti classifiche sarà sempre uno da venerare ed imitare, lui detiene la clava di questa era geologica, e che sia un incompetente e spesso un idiota è un dettaglio che non passerà agli atti.
Perdiamo tempo a rincorrere improbabili duelli artefatti, a pensare in che posizione veleggia il nostro idolo, e ci perdiamo l’attimo, il momento, la gioia di ammirare un talento, la purezza di un gesto, la magia di una creazione, il sublime gusto della contemplazione.
Detestiamo il rivale inventato e ci perdiamo tutto di lui perché qualcuno lo ha messo alla nostra personale berlina.
Non solo: si disincentiva la ricerca di chi, in quella classifica occupa le posizioni di coda, o chi non ci metterà mai piede, ma qualcosa da farsi ammirare ce l’ha eccome, anche se non ha vinto, se non ha sbancato le classifiche o se non ha una collezione di Oscar in camera.
Per la serie Avere la possibilità di scoprire il globo e farsi rinchiudere in un anfratto.
Se la smettessimo con quelle classifiche saremmo tutti noi a balzare in vetta.
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