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Ipocrimania, mitocrisia

11 Dic

La nuova frontiera per apparire accoglienti, tolleranti, inclusivi, civili e democratici (che bello essere CIVILI e DEMOCRATICI!) si sintonizza nell’inventare una rantumaglia di iniziative e battaglie a dir poco patetiche, fanno venire in mente quel secchione che si inventava chissà cosa per impressionare il nuovo Prof (cioè per apparire l’invertebrato che era) o quelle periodiche gare per il più bigotto della Parrocchia, solo che qui subentra una ricerca ossessiva di argomentazioni pompose nell’aspetto ma flaccide di contenuti, anzi, infide.
Parità di genere, ecologia, minoranze presunte o esistenti, discriminazioni vere o inventate per nasconderne altre: ormai c’è un fiocco, uno slogan, un simbolo, una recita e una giornata dedicata a tutti, peccato che nelle altre 364, di giornate, gli organizzatori di questi teatrini vomitevoli non muovano un dito in favore di nessuno, anzi, il più delle volte la principale causa delle disgrazie di tutte le attenzionate categorie è la loro struttura, visto che è un’emanazione del capitalismo liberista. Attenzione, perché se alcuni dei temi affrontati in queste baggianate planetarie sono delle autentiche boiate- tipici di chi è un po’ annoiato ed il suo unico cruccio è creare un ruffiano fumo per gli occhi che garantisca visibilità e seguito – ve ne sono altri di estremamente seri, ma sono esibiti per intenerire, lobotomizzare e fregare il popolino (a sua volta animato da intenzioni che tornino buone) e meriterebbero quindi ben altri attivisti di quelle ghenghe che invece detengono il monopolio della solidarietà. Queste saghe dei buoni sentimenti costruiti a tavolino negli effetti non si discostano molto dal gioco delle tre carte, hanno solo la faccia un po’ più presentabile, ma neanche tanto a guardare bene.
Più la gente fa a gara a partecipare a queste messe in scena, a sbattersi per mettere il like per prima, a condividere messaggi lagnosi talmente sdolcinati che rischiano di far venire il diabete anche al tavolo in cucina e a postare la nuova suggestiva immagine che qualcuno ha ideato per loro, e più i beneficiari di queste campagne sono rimasti perlomeno nelle condizioni di prima.
Perché la loro non è filantropia, è marketing; non è umanità, è manifestazione di potere; non è sensibilizzazione, è stordimento; non è socialità, è sociologia; non è difesa dei più deboli, è controllo delle masse; rappresenta la nuova ortodossia liberale dei diritti civili che ha l’obiettivo di distrarre da quelli sociali e da tutto il mare di povertà e catastrofi che sta producendo il modello liberal-progressista (quello CIVILE e DEMOCRATICO).
Si vuole coprire il male esistente con dell’artefatto amore per i disagiati, ma solo quelli più fotogenici, invece alle numerose vittime meno appariscenti del democraticissimo capitalismo globale non è dedicata alcuna giornata, neanche una mezz’oretta.
Spiacenti, fate poco audience e smuovete pochi sostenitori.

Il tipo che disse che una disgrazia non viene mai sola avrà anche portato un po’ sfiga, ma qualche intuizione l’aveva, occorre dargliene atto. Sì perché accanto alla profusione di retorica ed ipocrisia descritta sopra – da sola in grado di affossare il sistema biliare di un adulto di sana e robusta costituzione – si affianca una nuova categoria di addetti all’informazione con lo scettro di veicolare i messaggi, forse proprio nuova del tutto no, più un’evoluzione delle precedenti: il mitomane.
Nella liturgia per officiare il potere il mitomane ha capito che può ritagliarsi una parte da attore protagonista, siccome quelle iniziative sono una evidente presa per i fondelli, il mitomane a cascata ha semplicemente proseguito senza soluzione di continuità e vuole farci un po’ di cresta pure lui.
Dato che il copione è standardizzato, lui punta sull’interpretazione: teatrale, sforzata, ridondante, eccessiva, melodrammatica, con moine che si alternano ad istigazioni e manfrine che sconfinano nel viscerale, per catalizzare l’attenzione e mostrare la sua luccicante autenticità.
Ovviamente artefatta.
Il mitomane trova un terreno fertile in quelle situazioni, ma dotato di inossidabile egotismo non si accontenta, è l’imprenditore di sé stesso -per utilizzare una delle frasi più inutili che esistano, proprio come il nostro – e si inventa ogni occasione buona per farci sapere che lui c’è.
Ci possiamo imbattere in lui nella carta stampata o nelle trasmissioni tv, sui social o in un libro, e purtroppo anche in più combinazioni; moralista e libertino, impegnato e leggero, politicamente corretto ma anche dissacrante, insomma, tutto, al bisogno. Nel mitomane l’unica coerenza è essere più appariscente possibile, la sola ideologia rimanere al centro dell’attenzione.
Esiste il mitomane specialista (si atteggia da super esperto) ed il mitomane prezzemolino (baccaglia su tutto e tutti perché lui è uno di ampia vedute) ma per entrambi esiste solo una cosa: parlare di sé stesso.
Dev’essere un residuato marcescente di infantilismo, quando la fantasia o la noia porta i bambini ad inventarsi amici immaginari e a proiettare sé stessi in mirabolanti avventure per poi raccontarle agli amichetti sperando che sgranino gli occhi. Il mitomane è rimasto così, un bambino cresciuto (male) e se già da piccoli i ballisti seriali erano fastidiosi figuriamoci quelli adulti.
Stiamo parlando del mitomane al maschile esclusivamente per regole grammaticali, la categoria è rappresentata da ambo i sessi, non possiamo sbilanciarci sulle percentuali o qualche mitomane potrebbe iniziare con la lagna delle quote rosa o con qualche intemerata di quella portata lì e bombardarci a ciclo continuo per una settimana.
Il mitomane non ha confini, né vergogna, in nome della libertà di opinione ci scaraventa la sua inutile prosopopea, se qualcuno osa criticarlo – magari per il ventiseiesimo argomento trattato in una settimana e tutti con fare da luminare, oppure per l’inconsistenza dello stile e dei contenuti messi in campo esclusivamente per farsi notare – lui dall’alto del suo piedistallo (ovviamente auto-costruito) tenta di convincere il dirimpettaio a colpi di vittimismo mischiato ad arroganza e supponenza, non cita le sue conoscenze, il suo sapere, cita sé stesso, anche solo il nome.
Al mitomane piace sentirsi chiamato.
Al mitomane piace chiamarsi.
Eroe di battaglie immaginarie, protagonista di aneddoti onirici, tutte le sue proiezioni ortogonali tendono ad un unico punto, il suo, non ama l’approfondimento autentico, ma solo quello pretestuoso, perché ama approfondire solo ciò che lo riguarda servendosi del resto, il mitomane non di rado osa arrivare a definirsi modesto (una evidente meta-dichiarazione) ed esaltare il lavoro di squadra così da esaltare sé stesso.
Arrivista di prima categoria, opportunista semi-mascherato, non si fa scrupoli a sfruttare le disgrazie altrui, salvo criticare gli altri se si comportano esattamente allo stesso modo. Sfoggia una saggezza che ovviamente non ha, si vanta di aver vaticinato eventi di cui ha sbagliato le previsioni, raggiunge l’apice della lucidità quando utilizza il senno di poi (senno altrui, oltretutto).
Poco talento (inutilmente ostentato), poche idee (inutilmente sbandierate), poche intuizioni: il mitomane si atteggia come se ne avesse invece un magazzino pieno e potesse persino fare consegne a domicilio, tanta è l’abbondanza.
Rabdomante di occasioni per parlare di sé anche quando l’argomento è la Guerra dei Trent’anni, è un onanista di sé stesso, irreversibilmente malato di protagonismo, se abbiamo dei dubbi su quale termine rappresenti meglio la sua distorta personalità fra narcisista, egocentrico ed egoista , col mitomane possiamo eliminare l’imbarazzo della scelta ed usarli anche tutti assieme senza rischio di sbagliare diagnosi, l’unico rischio è di scordarne altri.
La sua è una categoria che non conosce il calo demografico e disgraziatamente il mitomane sta diventando l’idolo di quelli che ritengono di avere una vita culturale attiva e anche di quelli che vogliono replicare il suo approccio ad altri contesti, e sta diventando il modello per coloro che ambiscono ad un ruolo simile al suo.
La figura del mitomane si sta diffondendo anche in altri settori, una logica conseguenza di un modello di società che premia chi riesce a vendersi meglio e per primo, e nella fretta non sono richieste particolari qualità, anzi sono vivamente sconsigliate eccetto quelle di imbonire e stupire a seduta stante.

Il mitomane è il frutto di una dubbia e complessa paternità, è il classico concorso di colpa fra una società sempre più permeata sul sensazionalismo, sullo smodato protagonismo, sul massimizzare, sfruttare ed esasperare ogni cosa, che si erge su un’informazione pacchiana e destabilizzante, ma anche su persone evidentemente predisposte a comportarsi in quel modo e che trovano lì il loro habitat naturale.
L’unica arma che abbiamo per combattere il mitomane è non cagarlo proprio.

Dedicato a te/5

26 Apr

(Dedicato a te è un periodico sfogo, un balsamico travaso di bile che avrà per destinatari sia i massimi sistemi sia il particolare.
Lo stile sarà volutamente scarno, asciutto, anche volgare, gli approfondimenti ed i ricami cerco di metterli in altri lavori)

Oggi parliamo di te, del tifoso, che trafelato come sei ad elaborare e riordinare giornalmente il tuo unico impegno, scommetto che non ti sarai mai chiesto perché l’origine etimologica della tua ragione di vita, il tifo, coincida con una malattia altamente contagiosa che produce eritemi, eruzioni, meningismo, inappetenza, ulcere, diarrea, delirio, e che può portare a gravi complicazioni fino alla morte.
Non te lo sarai mai chiesto, ma vedi, le parole non sono mai casuali come è invece la tua vita – loro, le parole, un significato ce l’hanno sempre – e allora te lo dico io: perché sono grossomodo gli stessi effetti di cui soffri tu e che provochi anche agli altri.
Oggi farò tutto io, domande, risposte, analisi, spiegazioni: è inutile scomodarti in attività cerebrali per le quali non sei preparato, non vorrei che ti venisse la carne greve alle sinapsi o una contrattura alla corteccia prefrontale mediale.
O peggio ancora che scoprissi di possederle entrambe.
Eri in quarantena nel calcio (e difatti i sintomi della malattia si dividono in settimane, esattamente come il calendario del campionato che veneri come un testo sacro), e non contento dei danni prodotti lì, hai esondato invadendo tutto, non c’è nessun sistema immunitario che sembra arginarti.
In ogni settore c’è un tuo esponente, avete più copertura voi che una zona cablata con la fibra ottica.
E dove arrivi, infesti tutto.
Sei una sorta di Re merda, dove del Re ovviamente non hai nulla (se non l’arroganza), perché tu sei un servo.
E pure frustrato.

E non fare lo stronzo una volta tanto, non mi sto riferendo a chi mette anima e corpo per un hobby o un interesse, o di chi segue qualcuno o qualcosa con amorevole entusiasmo – queste sono attività sane – io sto parlando proprio di te, che adori solo i tuoi eroi ed irridi quelli degli altri, e che spesso hai per eroi personaggi che stonerebbero persino in un letamaio.
I greci quando parlavano di tifo intendevano l’offuscamento febbrile della mente, cazzo se erano avanti eh?
Lo posso giustificare da ragazzi, anzi a quell’età è quasi doveroso passarci, un sornacchio pacato, riflessivo e posato mi farebbe più paura.
Ma tu sei cresciuto – male, ma sei cresciuto – e sei rimasto più dogmatico di un Inquisitore del Medioevo, hai la stessa onestà intellettuale di una lattina di birra Peroni (vuota), adegui ancora il pensiero a ciò che tifi, non hai un tuo parere, una tua idea, una tua iniziativa, dipendi da una sola cosa, sei permeato da una cieca obbedienza, e siccome ci metti fanatismo come se piovesse ti credi uno scomodo, un ribelle, uno cazzuto, quando invece riesci a malapena ad essere un cazzone.

Ci si può emozionare, si può incitare, appoggiare, ammirare, soffrire, supportare,gufare, anche senza quella pletora di ragionamenti alla cazzo di cane di cui fai collezione tu.
Non sai che la mente si può allargare perché la tua l’hai serrata a chiave e l’hai fatta pure saldare, non sai che si possono apprezzare due, tre, quattro, ennesime cose assieme (anche in antitesi) senza rischiare la deflagrazione, come provare stima per un avversario o come ravvedersi dalle proprie convinzioni, sei all’oscuro (in tutti i sensi) di come l’eclettismo elevi l’uomo, tu forzato specialista invasato che da una vita ti abbuffi senza neanche assaporare quello che ti passa il convento.
Sopra al Mondo hai messo una coperta, ti sei limitato a farci un buco e a costruirci la tua vita intorno.
Discutere con te è inutile, non ti stimolerebbe nemmeno una scarica di elettroshok, se Socrate ed i suoi allievi ti avessero conosciuto non sarebbe nata la maieutica.
Sei un contoterzista del pensiero dotato della stessa credibilità di un oroscopo, possiedi infatti svariate enciclopedie di figure di merda.
Ti dipingi appassionato, ma di qualcosa calato sempre dall’alto: ti hanno detto che devi comportarti così, che devi reagire cosà e tu non sgarri di una virgola, devi farti piacere tutto e disprezzare quello dei nemici, quando magari il tuo inconscio vorrebbe il contrario, ma il tuo credo inflessibile glielo impedisce.
Accecato dai tuoi precetti quante cose ti perdi solo perché fanno parte dell’avversario, quanta merda che sei costretto ad incensare (e mangiare) solo perché la tua malattia te lo impone.
Denigri tutto ciò ti è altro, solo perché è altro, ma se domani l’altro diventasse roba tua ti metteresti a venerarlo rinnegando il passato, come scaricheresti al volo ciò che hai esaltato fino ad oggi nel caso inverso.
Tanto di memoria storica non ne hai mai avuta e di dignità ne hai forse sentito parlare una volta al bancone del bar.
Capendoci poco, infatti preferisti continuare a discutere con un tuo simile di una cagata a caso scelta dal tuo catalogo.

Quando penso al regredire della specie umana tu appari nelle parole suggerite.
Penso poi alla bellezza della vita, alla scoperta, al cambiamento, alla novità, all’apprendere, alla poliedricità, e vedo te che col tuo ghignone dall’espressione bovina che abbatti e demolisci questi aulici pensieri, soddisfatto che la società sia divisa ed etichettata in contenitori.
Se il Mondo sta diventando paranoico e schizofrenico è perché stanno usando (anche) te come sicario.
Ti hanno messo al guinzaglio e ti portano dove vogliono loro, ti tengono sempre sulle spine, ti dicono quando abbaiare e quando azzannare, te le fanno prendere, ti mettono nei casini, poi con un biscottino e due complimenti al “tifoso sempre presente!”, torni a credere di essere un protagonista e ricominci daccapo il giro.
Sei proprio un inutile idiota, digerisci di tutto, e fai vomitare gli altri.
Come sprechi l’esistenza.
Come sei comodo al sistema.
Come sei dannoso per l’umanità.
I vaccini, gli antidoti, i diserbanti, gli antiparassitari temo che con te siano poco efficaci, è per questo che nutro più fiducia in una vostra estinzione di massa.
E spero.

Liberazione d’inverno

28 Mar

E così per smascherare alcuni dei sudici e sozzi effetti del turbo-capitalismo bastava il candore e la purezza della neve…
Stavolta la neve – antica come solo un fenomeno atmosferico può essere – prima di coprire dolcemente ed indistintamente ogni cosa le si proponesse davanti, è andata a scovare i moderni archetipi della società occidentale per poi sbrandarli con il cinismo, la cattiveria e l’insofferenza di un najone prossimo al congedo.
E’ stata insignita di questo compito, la neve, tutt’altro che casualmente: un tempo attesa, oggi vituperata, ha covato tristezza, delusione e risentimento, sentimenti che macerando conducono alla rabbia e ad un sano desiderio di rivalsa.

Nell’Appennino la neve è sempre stata la cornice, scomoda se vogliamo (ma più agli occhi di un esterno – e comunque una volta ben più di oggi), ingombrante, eppure amata.
Amata perché insostituibile, amata perché consustanziale: provate a chiedere ad un marinaio un parere sul mare.
D’inverno, se lei era presente, le bacchette da direttore d’orchestra erano sue, d’emblée.
Ed anche l’Oscar come migliore attrice protagonista.
In città non aveva la residenza, è vero, ma il suo sporadico arrivo era un alibi di ferro per rompere la routine, poter cazzeggiare e vivere uno di quei momenti che una volta raccontato avrebbe spalancato bocche, irraggiato visi ed illuminato l’immaginazione dei dirimpettai.
Invece questo sistema economico (scusate, al momento non mi viene un aggettivo sufficientemente insolente, lascio a voi l’onore) ha modificato antropologicamente le persone strappando le radici di ognuno alla propria terra.
I bambini, ontologicamente incontaminati, ancora impermeabili ai dettami del Dio denaro, rabdomanti di avventure il più possibile contigue alla magia, aspettano la neve, per lei si alzano prima (dote taumaturgica): una nevicata vale un’esistenza in attesa di scoprire qualcos’altro che gli faccia battere il cuore altrettanto gustosamente.
Magari un’altra nevicata.
Crescendo purtroppo si abiura quel passato spensierato, l’uomo fa incetta di isterismo e raddoppia le dosi (già da cavallo) che un’entità astratta gli ha prescritto, si lamenta del caldo d’estate, del freddo d’inverno, della pioggia d’autunno, delle viole in primavera.
Più che metereopatico l’uomo moderno è divenuto metereodipendente, con sfumature che lambiscono l’ossessivo-compulsivo: crede più all’ultimo aggiornamento del sito che a quello che gli si presenta davanti agli occhi, sottotraccia spera in qualche calamità per stare un pò in ansia, per dire “Io c’ero!” e per aggiungere qualche foto su Instagram.
Vuole comandare qualsiasi evento (atmosferico e non), governare tutto con una app, è in perenne competizione anche con la propria ombra, si illude di rendere una giornata nevosa produttiva esattamente come tutte le altre perché il mercato deve sempre trionfare (e sempre trionferà!), non accetta che i tempi scanditi dalla redditività vengano dilatati, pretende che la sua tecnologia non abbia mai intoppi e vinca tutte le partite.
E’ l’apologeta di una modernità scordatasi del progresso e dell’umanità.
Al netto di persone che col gelo davvero tribolano e di mestieri votati al sacrificio (qui il rispetto e la solidarietà è d’obbligo), se anche ci fossimo fermati durante le nevicate di questo bellissimo inverno, il Mondo non sarebbe né esploso né avrebbe rischiato di grippare, invece quei maledetti centesimi di Pil pesano come tonnellate perché rischiano di certificare l’infallibilità del capitalismo e la sua ineludibilità.
Impunemente la neve ha sbattuto in faccia alla società tutta la sua fattualità: è molle, liquida, delicagata, inconsistente, destrutturata, fatua e riempita col superfluo, conosce la fatica fisica solo in palestra, la rabbia esclusivamente con un più debole, non sa più sognare, non sa più ridere di se stessa e dell’imprevisto, non sa più fermarsi (solo chi si ferma può ripartire), lavora in nome di una crescita infinita e si sente affranta a rimandare qualcosa a domani, vive in una perenne sindrome di Stoccolma del proprio tempo, si lamenta, ma l’invettiva (sempre che parta) non trova destinatari, e una volta che dall’alto (inteso come atmosfera, of course) si presenta un antidoto, non sa far altro che rimpiangere i ritmi da catena di montaggio che hanno ridotto l’essere umano ad oggetto usa e getta.
Un oggetto che produce altri oggetti, o delle amenità comparabili.
In un epoca così, con uno spartito così – un pò per causa, un pò come effetto – gli intellettuali hanno fatto la fine delle salamandre mentre i loro surrogati imperversano nella spirale dell’appiattimento cosmico diffondendo il verbo 2.0 pregno di improbi dettami: per millenni ci hanno raccontato la fola che il Mondo è stato creato da Dio, questi qua arriveranno a sostenere – utilitaristicamente – che l’unica dottrina a cui inchinarsi è la volontà del capitalismo d’assalto.

Ed invece no, la neve con la sua minimalista ed imponente presenza, col suo silenzioso frastuono, ha confutato le meschine leggi del mercato, ha irriso i deboli crismi dell’incivile modernità, del barbaro progresso, dello sviluppo solo tecnologico.
Attingendo alla sua immanente trascendenza, ha provato a redimerci, infliggendo un’affettuosa umiliazione ai discepoli di questo stile di (non) vita, per riportarli ad una dimensione umana.
Ci ha ricordato che è doveroso rallentare i ritmi, esattamente come ridare dignità al tempo e nondimeno fermare il frenetico contesto per trovare un momento per chiedersi chi siamo.
Intrepida ancorché affettuosa, la neve per titillare le risposte ha messo a disposizione la sua ineffabile atmosfera ovattata e per tutta risposta più che ringraziata è stata stramaledetta: la collettività è riuscita anche qui a dividersi in due fazioni, con fanatismi e linciaggi compresi nel prezzo.
Ma stavolta l’affondo è partito, la neve ha piantato un dito in un occhio – ed un altro nel culo – all’intero Gotha capitaliberista: l’argenteria ha tremato ed è stato tracciato un solco dove prima si intravedeva solo un segnetto di pusillanimi velleità.
I fiocchi, uno dopo l’altro – con la pazienza, la calma e la serenità, doti oramai fagocitate in nome del niente – è come se avessero formato un esercito di liberazione, armati del freddo per svegliare l’umanità dal torpore che la sta conducendo all’assopimento.
Non sappiamo se le nevicate a ripetizione abbiano segnato l’inizio dello sfaldamento del sistema neo-liberista, di sicuro hanno fatto sentire il freddo ad un re un pò più nudo.

Neve, placida ribelle, sovversiva con la naturalezza del tuo essere, rivoluzionaria nel tuo reazionarismo, sei stata uno dei più concreti atti di protesta per abbattere l’autorità costituita(si), tu autentica icona anti-capitalista ed anti-classista, tu, più dirompente in una notte che tanti presunti dissidenti nella loro inutile vita, tu fulgido esempio da seguire senza aver mai pronunciato la parola io.
Grazie neve, un motivo in più per continuare ad amarti.

Liberismo cosa?Liberista chi?

11 Ago

Spesso assomigliamo a quel cielo che promette tempesta e diluvi ma che arriva a partorire a malapena un’innocua pioggerellina.
Passiamo dall’indignazione alla timida protesta (o alla fievole reazione) peraltro tardivamente, sovente quando i buoi non solo sono già scappati ma anche difficilmente rintracciabili.
Lo facciamo quando il torto è palese, conclamato e consacrato o quando hanno toccato il nostro orticello, mentre se depredano quello del vicino, beh, dispiace, certo, ma sono poi affari suoi.
La vecchia storiella dei pochi uomini organizzati che riescono a comandare i tanti disorganizzati andrebbe riletta ogni tanto la sera prima di addormentarsi.
Il potere non la legge, perché la conosce a memoria e su queste debolezze ha imperniato le proprie fondamenta.
Quando si combatte ed in gioco c’è la sopravvivenza sarebbe d’uopo conoscere il nemico, diversamente è come menare dei fendenti a caso in aria mentre il tuo dirimpettaio ti fa arrivare delle chirurgiche sciabolate nei punti vitali.
Ogni epoca ha il suo fascismo, scriveva Primo Levi.
Bisognerebbe però individuarlo.
E non ex post.
Pier Paolo Pasolini invece parlava degli archeologici antifascisti, di quelli cioè che fingono di combattere un fascismo che non c’è più perché non riescono (né vogliono) combattere quello in essere.

E meno male che si inizia a parlare di liberismo e a metterlo sul banco degli imputati (invero mai abbastanza), ma se l’interlocutore non conosce il termine chissà a quali viaggi mentali si aggrappa e per un complicato meccanismo cerca altri colpevoli, magari proprio quelli che gli ha suggerito la fedifraga dottrina liberista.
Ricordate quando in qualche racconto si narrava di grigie città, cupe come le fabbriche che nascevano dalla sera alla mattina, coi fiumi che iniziavano la loro metamorfosi del colore e si respirava nell’aria l’acre odore del carbone, coi bimbi ficcati nelle canne fumarie e costretti a lavori pesantissimi in turni massacranti, dove chi si ammalava al lavoro perdeva il posto, dove il padrone della fabbrica era il padrone di tutto, macchinari e vite senza soluzione di continuità, dove nella società chi aveva la fabbrica e produceva poteva fare quel cazzo che gli pareva.
Erano i tempi in cui si era partorita l’idea che il mercato dovesse avere la precedenza su tutto, perché il mercato è giusto, il mercato si auto-regola, il mercato è la soluzione migliore per tutti.
Ricordate?
Senz’altro, forse qualche tempo fa eravamo più sensibili, comunque sia, erano i tempi successivi alla rivoluzione industriale, metà Ottocento, primi Nocevento e le nuove teorie economiche che sembravano far spiccare il volo al Mondo, lo fecero implodere, portando solo inquinamento, miseria, tanta miseria, nascite di regimi e guerre in un diabolico circolo vizioso.
Tutti puntano il dito solo contro il nazionalismo quale fonte delle dittature e di future annesse disgrazie, omettendo gli effetti che ebbe anche il liberismo.
I due conflitti mondiali scoppiarono dopo due periodi marcatamente orientati al laissez faire ed il passo dalla crisi alla guerra parve il più naturale possibile.
Dalla fine della seconda guerra mondiale all’inizio dei’70 vi fu una pax farcita di grosse conquiste sociali ed economiche, ma qualcuno si accorse che quell’architettura non gli avrebbe più permesso di aumentare oltremisura gli affari – che già faceva, ma che non erano sufficienti.
Studio di teorie economiche in laboratorio, approccio ed applicazione da far impallidire l’idealismo tedesco, cinismo machiavellico: benvenuti nella seconda fase, quella del neo-liberismo.
L’inizio fu volutamente inebriante in quegli scoppiettanti anni Ottanta, appositamente costruiti per non pensare e per non far vedere il retro della medaglia sulla quale si iniziavano ad incidere i precetti quali lo sfascio dello Stato sociale ed i capitali liberi di girare per il Mondo (con gli uomini a corrergli appresso con affanno), con le nuove dottrine economiche che prendevano il posto della religione in un passaggio di consegne fra monoteismi.
Con qualche timida crisi, durata al massimo un colpo di tosse, si arriva ai primissimi ’90 e nel frattempo si sono tutti convertiti al nuovo pensiero dominante ed eccoci entrati nella fase attuale, che come precisa ogni volta il Professor Cassinadri, è quella dell’ordo-liberismo (ovvero ordine liberista): globalizzazione go go, intensificazione della mondializzazione, crisi finanziarie create ad hoc, disastri curati da chi li ha creati, privatizzazione dei profitti, socializzazione delle perdite con cure da cavallo, una società sempre più liquida guidata sempre più da entità astratte.
Il sistema non è nemmeno da mettere in discussione, solo che prima i profeti, gli esegeti e gli attori erano dichiaratamente liberisti, mentre oggi si sono travestiti da progressisti e tante altre maschere.
Perché più che fra destra e sinistra (categorie che un senso ce l’avrebbero ancora, ma sono spesso strumentalizzate) o fra conservatori e progressisti (contenitori inventati dal medesimo produttore, quindi privi di significato) dovremmo iniziare a svegliarci e capire chi dà la precedenza all’uomo e chi alla crescita economica, chi difende i diritti degli esseri umani e chi il profitto tout court.
L’uno (il profitto) sacrifica l’altro (l’uomo).

Ma in concreto, molto in concreto, cos’è il liberismo?
La distruzione delle piccole comunità è il liberismo.
La distruzione delle piccole imprese è il liberismo.
La distruzione di tutto ciò che è piccolo è il liberismo.
La distruzione di usi, abitudini e tradizioni è il liberismo.
La demonizzazione di tutto ciò che è pubblico e collettivo è il liberismo.
L’eliminazione del concetto di interesse comune è il liberismo.
Screditare tutto ciò che si rifà al passato è il liberismo.
Mentire sulle teorie economiche è il liberismo.
Mentire su cause e rimedi delle crisi è il liberismo.
Le riforme di cui ha bisogno il nostro Paese sono il liberismo.
Le balle e le vigliaccate per far passare le riforme sono il liberismo.
Il way of american life è il liberismo.
L’Euro è il liberismo.
Il è il liberismo.
Il è il liberismo.
Il è il liberismo.
Lo spread è il liberismo.
Ciò che è accaduto in Grecia è il liberismo.
Svendere e tradire la patria è il liberismo
I trattati sul commercio internazionale sono il liberismo.
La globalizzazione è il liberismo.
I mercati finanziari sono il liberismo.
Il potere dei mercati finanziari è il liberismo.
L’eliminazione di tutte le autonomie è il liberismo.
La chiusura di un punto nascite in montagna è il liberismo.
La riduzione dei posti letto e la chiusura di reparti in un ospedale di montagna è il liberismo.
La chiusura di altri ospedali d’Italia è il liberismo.
La riduzione dei posti letto in tutti gli ospedali è il liberismo.
La riduzione dei posti letto nelle terapie intensive è il liberismo.
L’inaugurazione di cliniche private è il liberismo.
La sanità fonte di ricavi è il liberismo.
Fra sette mesi con la mutua e domani a pagamento è il liberismo.
La sanità a pagamento è il liberismo.
La sanità dove un gesso ad un polso costa 20.000 $ è il liberismo.
La sanità dove se stai morendo ma sei senza assicurazione nessuno ti caga, è il liberismo.
Operare pazienti senza motivo è il liberismo.
Far mangiare della merda pur di guadagnare è il liberismo.
Avvelenare pur di guadagnare è il liberismo.
Gli alimenti e gli animali importati dall’estero sono il liberismo.
La frutta e la verdura distrutte per poi acquistarle da altri Stati è il liberismo.
I tagli alla scuola pubblica sono il liberismo.
I contemporanei incentivi alla scuola privata sono il liberismo.
La scuola pubblica scadente per molti e quella privata eccellente per pochi è il liberismo.
La demonizzazione della cultura è il liberismo.
Rincoglionire la gente con luccicanti cazzate è il liberismo.
Lobotomizzare la gente con la tecnologia è il liberismo.
Inneggiare ad una società senza radici è il liberismo.
I neologismi inglesi sono il liberismo.
L’eliminazione delle lingue nazionali e dei dialetti è il liberismo.
Le pensioni da fame sono il liberismo.
La pensione che non ci daranno è il liberismo.
L’azienda che de-localizza è il liberismo
Un ragazzo precario è il liberismo.
Un cinquantenne precario è il liberismo.
L’insegnante pubblico precario è il liberismo.
Le aziende precarie sono il liberismo.
Rendere tutto precario è il liberismo.
Gli esodati sono il liberismo.
La disoccupazione creata appositamente per ridurre i salari è il liberismo.
Far passare la voglia di lavorare è il liberismo.
Il debito pubblico brutto, sporco e cattivo è il liberismo.
Il debito pubblico creato appositamente per destabilizzare il welfare è il liberismo.
I popoli del Sud trattati da sfaticati e spendaccioni sono il liberismo.
La demonizzazione del posto fisso è il liberismo.
La fine del posto fisso è il liberismo.
Le guerre chiamate in mille altri modi sono il liberismo.
L’immigrazione selvaggia è il liberismo.
Servirsi degli immigrati per togliere i diritti a tutti è il liberismo.
Costringere la gente ad emigrare è il liberismo.
Attirare con l’inganno i migranti è il liberismo.
Lo sfruttamento dei paesi poveri è il liberismo.
Voler far diventare poveri altri paesi è il liberismo.
Il produci consuma crepa è il liberismo.
Far girare le merci, il capitale e le persone come trottole è il liberismo.
Rendere tutti apolidi è il liberismo.
Vedere l’uomo come il mezzo per produrre è il liberismo.
La massimizzazione del profitto è il liberismo.
Le multinazionali sono il liberismo.
I metodi delle multinazionali sono il liberismo.
Gli effetti delle multinazionali sono il liberismo.
Privatizzare tutto è il liberismo.
Privatizzare anche l’acqua è il liberismo.
Privatizzare impoverendo il privato è il liberismo.
Privatizzare anche il buco del culo è il liberismo (Mauro dixit)
Impoverire l’imprenditore è il liberismo.
Trattare l’uomo alla mercé dell’oggetto che produce è il liberismo.
Togliere la sovranità è il liberismo.
Togliere l’indipendenza è il liberismo.
Togliere la dignità è il liberismo.
Inneggiare all’uomo usa e getta è il liberismo.
Basta che si guadagni è il liberismo.
I servizi pubblici non possono essere in rimessa è il liberismo.
Il più bravo è chi guadagna di più è il liberismo.
Il cinismo come costante è il liberismo.
Mettere uno contro l’altro è il liberismo.
La guerra fra i poveri è il liberismo.
Non tollerare i vecchi è il liberismo.
Costringere i vecchi ad essere giovani è il liberismo
Togliere i diritti uno alla volta è il liberismo.
Togliere i diritti e farti sentire in colpa perché finora li hai avuti è il liberismo.
Il fumo negli occhi di certi diritti per toglierne altri è il liberismo.
La manipolazione della realtà è il liberismo.
Far credere sempre alla versione ufficiale è il liberismo.
Creare una cittadinanza allineata al pensiero unico è il liberismo.
Rendere reietti i dissidenti del pensiero unico è il liberismo.
Solleticare gli istinti più biechi è il liberismo.
Ignorare la pietà è il liberismo.
Creare disagio sociale è il liberismo.
Rendere la società liquida è il liberismo.
Creare una società esasperata è il liberismo.
L’eterno ricatto è il liberismo.
Creare fratture sociali è il liberismo.
Far rimanere le persone in uno stato perenne d’ansia è il liberismo.
Cancellare la storia senza nemmeno riscriverne un altra è il liberismo.
La plutocrazia è il liberismo.
Lo sfruttamento delle persone è il liberismo.
Il disprezzo per il debole è il liberismo.
Il disprezzo per il povero è il liberismo.
Il disprezzo per il perdente è il liberismo.
L’ossessione per il successo è il liberismo.
L’ossessione per la ricchezza è il liberismo.
L’invenzione di nuove classi sociali è il liberismo.
Creare disparità e disuguaglianze sociali è il liberismo.
La discriminazione di classe è il liberismo.
L’annientamento intellettuale è il liberismo.
Soffocare il libero pensiero è il liberismo.
Spacciare la spersonalizzazione per individualismo è il liberismo.
Fottersene dell’ambiente in cui viviamo è il liberismo.
Produrre per consumare è il liberismo.
Sobillare una vita di facili guadagni è il liberismo.
Far sentire in colpa il povero è il liberismo.
Costringere tutti ad essere imprenditori di se stessi è il liberismo.
Mettere i bastoni nelle ruote degli imprenditori è il liberismo.
Non avere regole è il liberismo.
L’utero in affitto è il liberismo.
Eliminare le parole equità,sociale, morale e coscienza è il liberismo.
Far soffrire le persone pontificando che è colpa loro è il liberismo.
Prima il soldo poi i soldi è liberismo.
Il soldo che deve generare altro soldo è il liberismo.
Il soldo nelle mani di pochissimi è il liberismo.
La creazione di un cinismo preistorico nel tempo moderno è il liberismo.
I mega-ricchi sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri è il liberismo.
Trovare il modo per impoverire i poveri è il liberismo.
Trovare il modo per arricchire i ricchi è il liberismo.
Trovare il modo per impoverire quelli che ieri erano considerati ricchi è il liberismo.
L’eliminazione del ceto medio è il liberismo.
Far credere ai poveri che si stiano arricchendo è il liberismo.
Far credere ai poveri che un giorno si arricchiranno è il liberismo.
Le menzogne sulla meritocrazia sono il liberismo.
Far tornare l’epoca della schiavitù è il liberismo.
Far invocare le catene agli schiavi è il liberismo.
Farsi sostenere dalla parte che si massacra è il liberismo.
Illudere che tutto sia possibile e raggiungibile è il liberismo.
Illudere i sudditi che diventeranno sovrani è il liberismo.
Non si può tornare indietro è il liberismo.
Non c’è alternativa a questo sistema è il liberismo.
Una mano che ti tenta e l’altra che ti impoverisce è il liberismo.
Sradicare l’uomo dal suo territorio senza più dargli una dimora è il liberismo.
Esaltare la vita senza fissa dimora è il liberismo.
Far sentire i dissidenti anacronistici e decontestualizzati è il liberismo.
Infamare i dissidenti è il liberismo.
Eccitare per nascondere è il liberismo.
Curare il profitto e non il malato è il liberismo.
Fare affari solo col privato, ma chiedendo aiuto allo Stato quando va male è il liberismo.
Fare affari solo con certi privati escludendo tutti gli altri privati è il liberismo.
Ripetere sempre a pappagallo i mantra sulla crescita, sulla competitività, sui sacrifici, sugli investimenti dall’estero e sulle sfide internazionali è il liberismo.
Spremere le persone come limoni e ringraziandoli con un calcio nel culo è il liberismo.
Spaventare col sicuro e rassicurare col pericoloso è il liberismo.
Illudere poi annientare è il liberismo.
Creare finti bisogni è il liberismo.
Soffocare i reali bisogni è il liberismo.
Favorire sempre il grosso e massacrare sempre il piccolo è il liberismo.
Lo smantellamento dello stato sociale è il liberismo.
La macelleria sociale è il liberismo.

Se questa fosse un’indagine poliziesca, una volta circoscritto e compreso il fluttuante e viscido concetto di liberismo, bisognerebbe concentrarsi nell’individuare i liberisti.
Dovremmo condurre l’indagine con una mente aperta alla curiosità, sgombra di pregiudizi, senza la tentazione di comode associazioni di idee, perché il calderone dei liberisti è vasto, eterogeneo ed ingannevole.
C’è chi è liberista per interesse di categoria, i membri di certe èlite e di certe lobby è fisiologico che siano liberisti, è il sistema che li favorisce di più.
Non è invece così normale che fra i liberisti vi siano persone le cui categorie d’appartenenza hanno perlopiù degli svantaggi, ma la l’affiliazione è dettata da servilismo, mero tornaconto personale, leccaculismo, codardia, conformismo, ambizione, insipienza.
Tutte persone che magari ottengono qualcosina in cambio (qualcosina, ma magari no) mentre il loro tessuto sociale perde dei pezzi.
Esempio emblematico quei soggetti che un giorno sì e l’altro pure inneggiano e osannano le famose riforme, che arrivano a inscenare danze propiziatrici affinché si realizzino, salvo poi scoprire con sommo stupore che le riforme invocate con ardente passione comprendono anche il taglio dei loro posti di lavoro, ed arrivano a protestare e addirittura a scioperare.
Finita l’indagine, per tutti, il capo d’imputazione dovrà essere quello di crimini contro l’umanità.

Maddecheao!

25 Mar

Eccola la nostra famigliola, un archetipo che lambisce più lo spot pubblicitario che il concetto arcaico di famiglia: mamma dai tratti gentili, sorriso luminoso, che deve infondere dinamismo ma anche arrapare un pò; papà dal viso rassicurante, uno che non sembra incazzarsi mai nonostante i mille impegni, e poi i bambini; oh,in ‘ste famiglie sono sempre maschio e femmina e biondo camomilla.
(Boh, che shampo useranno poi…)
Solo il cane non c’è, se no il quadretto sarebbe perfetto, ma solo perché è uscito a farsi una pignatta di cazzi suoi, povera bestiola ne ha bisogno, lunedì prossimo l’aspetta la prima seduta dallo psicologo per i canidi.
Depressione, si vocifera, la sua razza ne è predisposta.
In compenso c’è il nonno, anche se il suo tasso di partecipazione è paragonabile a quello di Edmundo alla causa viola durante il Carnevale ’99.
O così almeno sembra.
Non capita spesso che la famiglia sia riunita, difatti per l’occasione il papà sta leggendo fervidamente una rivista finanziaria, di quelle che non azzeccherà nemmeno una delle sue previsioni, cioè come tutte; la mamma sta guardando una roba inutile alla Tv ma è indecisa se cambiare e seguire una cagata colossale su un altro canale sempre a pagamento; il bambino è immerso nel suo videogame e la bambina è ipnotizzata sia dalla (seconda) televisione sia dal suo tablet, praticamente sembra un’epilettica inebetita, ma alla fine il tablet avrà la meglio e se la inghiottirà.
Il nonno dopo alcuni tentativi di fare qualcosa tutti assieme – efficace come vendere la braciola di maiale in Arabia Saudita – si è appisolato, attività decisamente più appagante in quel focolare.
La mamma nel suo zapping ossessivo-compulsivo arriva ad un programma d’inchiesta (esistono ancora) che a lei non suscita una grandissima reazione (d’altronde affronta temi scottanti) ma che ha il merito di risvegliare dal torpore il maschietto, segno che la lobotomia alla quale si era sottoposto è ancora interrompibile.
Lui difatti con la spigliata petulante naturalezza dei bambini chiede come mai lo Stato non possa stanziare fondi per i terremotati (che a lui sembrerebbe doveroso) e perché debba chiudere degli ospedali (che a lui sembra crudele).
Giusto il tempo di deglutire e rincara la dose con un suo particolare collegamento “E poi perché a scuola gli insegnanti ci dicono che non ci sono più soldi e ci fanno portare da casa anche la carta igienica?”
Il papà, fresco di lettura-studi, prende la parola col piglio di chi vuole educare ed erudire, chiosando uno stentoreo “Perché ce lo chiede l’Europa”.
Il bambino dopo lo sforzo a lui non congenito non se la sente di controbattere anche perché quella risposta l’ha sentita tante volte nei grandi ed il dubbio che non sia opportuno replicare gli viene, anche se la convinzione non capeggia in lui.
Il servizio alla TV intanto prosegue ed anche la bambina lancia un segnale di presenza delle sue sinapsi (evento non così scontato visto il suo recente doppio elettroshock) domandando il motivo per cui le aziende italiane siano costrette a trasferire all’estero la produzione o a chiudere costringendo le persone ad andarsene.
Lei non vuole perdere le sue amiche per questi motivi.
Stavolta è la mamma a prendere la parola, non vuole essere da meno nell’elargire banalità.
“Sono logiche di mercato, vero caro?” volgendo uno sguardo per catturare l’assenso del marito.
Logiche di mercato legate alla competitività ed al rapporto fra i ricavi ed costi che deve essere sostenibile, aggiunge pedante lui.
Non contento “Il Mondo in pochi anni ha accelerato alla velocità della luce e dobbiamo raccogliere queste nuove sfide, non temerle”.
La bimba, avendo compreso un decimo di quanto asserito dai genitori, si trova in quel limbo in cui non sa se rispondere con veemenza, stare zitta crogiolando i primi istinti di ribellione o lagnarsi dicendo Non è giusto alla risposta-supercazzola.
E’ lo stesso tempo che si interpone fra la botta ed il picco di dolore riveniente.
“Ma papà, che risposta è???” esclama esigente la piccola.
Non sempre chi dorme non piglia pesci, oppure dipende da come dorme.
Fatto sta che è il nonno a rispondere alla nipotina, lui che evidentemente ha seguito attentamente tutto lo strampalato tentativo di maieutica messo in atto dai genitori.
To ‘o dico io: na risposta der cazzo, ecco che è!
Un appoggio morbido.
Che prosegue.
Macche state a ciancicà?Maddecheao!!!’A loggica e ‘a sostenibbilità der mercato provate a magnalle!E dopo provate a spigne a vede che ce viè fuori! Ch’e vostre fregnacce nun rovinate li pupi, voi ormai ‘n ve se caga più niscuno, ma a ste du creature nun je fate er lavaggio der cervello, li mortacci vostra!
Il nonno non era così vispo dal 1988.
O dalla sua ultima erezione.
Che risale al 1988.
Uno dei due esterrefatti genitori abbozza un “Ma…”, solo che viene travolto da quel fiume in piena.
E mme sento dì: Ce lo chiede l’Europa?Si ce lo chiede vor di che c’ha ‘a voce, che è, na persona?Che cazzo è st’Europa?Eurpoa ‘n par de cojoni!Mo ‘a chiamo pur’io si c’ho bisogno: Europa, pijo 900 Euro de pensione e me servono ‘e medicine, damme quarcosa!Europa, me devo fa n’ecografia ma er Cuppe dice che ce vojiono 8 mesi o mezza capoccia, damme li sordi…Vedemo se me risponne…
Ancora.
Io conosco er macellaro, er fruttarolo, er dottò, er cravattaro, a Madama e ca mignotta che batteva qui sotto, ecco si c’hai ‘bbisogno loro li puoi da chiamà, epprova te a chiamà l’Europa
I due fratellini sono alla sesta ola più tuffo carpiato dal comò al divano, paparino e mammina invece annaspano inesorabilmente e quasi rimpiccioliscono.
Mo sai che faccio, vado en giro pe’ mmondo a chiede de damme quello, de fà querrarto e je dico che sò obbrigati sò, che ce ‘o chiede sta ceppa de cazzo, vojo provà…
Non ancora pienamente soddisfatto l’ultra ottuagenario sovversivo chiude con un finale che riesce ad essere teatrale e filosofico.
A fii ‘bbelli, ve state a ingrifà pé na cosa che ve sta a rovinà, me sembrate er cane de Mustafà, quello che ce l’aveva ‘nder culo e diceva che stava a scopà…
I due bimbi hanno trovato il loro nuovo idolo, i genitori invece stanno sfogliando nervosamente la rivista in cerca di argomntazioni per smentire quelle empie frasi pronunziate da un classico populista oltranzista.
E sfoglieranno per un bel pò.

Liberismo e barbarie

18 Mar

(Articolo scritto grazie al contributo di Daniele Cassinadri e Cristian Martinelli)

 

Solo gli occhi degli stolti e dei disinformati (tipologie che possono anche coincidere) non riescono a vedere che la situazione economica attuale è tutto fuorché casuale e che è possibile individuare le cause ed i rimedi, con la sola penitenza di essere riempiti di epiteti quali gufo, disfattista, populista, fino a terminare l’empia lista.
Ma quelli che non vogliono annegare nel mare magnum del pensiero unico e sentono di dover sfidarne le onde e le correnti, dovranno allargare gli orizzonti facendo propria la tesi per cui un fenomeno – anche questo, che è di stampo prettamente economico – non si può affrontare solo con argomentazioni ed approcci endogeni alla categoria.
Cercare un colpevole – e qui c’è, si chiama neo-liberismo con tutte le applicazioni al seguito – non dev’essere un alibi da tenere nel taschino pronto uso e non deve nemmeno esimerci da quelle attività tanto imprescindibili quanto faticose che sono l’autodiagnosi e l’osservazione attiva e critica di ciò che ci circonda.

E’ vero, un pezzetto alla volta ci stanno rubando il futuro, deflagrando i diritti che altri avevano ottenuto e riportando i rapporti di forza a livelli ottocenteschi (se non più addietro) ma di contraltare (e per una contraddizione insita nell’economia moderna) agli oppressi – che sono sfruttati, bistrattati, umiliati, derisi, calpestati e malpagati – manca uno spirito di sacrificio.
Non a tutti, non a tutti nello stesso modo, diciamo in media, più una certa deviazione standard.
E gli oppressi mica devono essere ricercati solo fra gli indigenti senza un tetto ed un lavoro, no signore, ma anche fra coloro che credono di aver migliorato la propria condizione, ma solo perché del loro praticello ammirano i fili d’erba, senza nemmeno alzare lo sguardo a vedere l’aria che li sovrasta di che colore è.
Gli oppressi siamo tanti e se, oniricamente, dipendesse solo dalla nostra volontà, dalla nostra abnegazione, dalla nostra disponibilità a rinunciare a qualcosa oggi con la certezza di costruire delle solide e durature basi per il domani, sapremmo uscire da questa palude e virare verso lidi più favorevoli?
Non ne sono così convinto.
Per diversi motivi.
Il primo: l’attuale architettura economica, dopo l’infatuazione del rodaggio e ed un senso iniziale di ebbra onnipotenza, porta alla disillusione, all’annientamento, all’alienazione, al nichilismo; sbattersi oggi (da dipendente, da artigiano, anche da imprenditore) ha qualcosa in comune con la fatica di Sisifo.
In quest’ingranaggio che si auto-genera e che non sembra ammettere granelli di sabbia al suo interno,un impegno indefesso può apparire a più d’uno come un assist al carnefice-capitale, che irrobustisce la fonte dei mali e lascia solo le briciole.
Si potrebbe controbattere articolando ragionevoli motivazioni, ma le istanze portate a corredo della loro idea non sarebbero da meno.
Si parte da un autodifesa, dal concetto di resilienza e resistenza ad un mostro economico, ma l’effetto collaterale è di perdere del mordente, quella spinta rutilante che aiuta a sverniciare i problemi, quel sano rimboccarsi le maniche spendibile in tutte le pieghe della vita.
Secondo motivo: avere vissuto l’adolescenza in anni comodi ha idealmente formato una bambagia fra noi ed il mondo, un cuscinetto che ha ammorbidito le sconnessioni, sì, ma anche il carattere.
Adesso ognuno di voi penserà ad uno o più comportamenti che lo esenti dall’ultima affermazione, ovviamente il culo se lo fanno in tanti, ma se i nostri genitori 50 anni fa fossero stati proiettati nei giorni giorni patirebbero meno la crisi e l’affronterebbero con un piglio differente, forse perché impermeabili alle trappole di oggi, loro che videro davvero la miseria.
Per non parlare se noi finissimo sparati dritti nel dopoguerra…
I nostri genitori, conoscendo di persona la fatica, hanno cercato di evitarcela sognando per noi lavori di concetto più che di braccia, amorevoli pensieri che sommati al contesto hanno generato in noi aspettative un pò pretenziose e quantomeno rigide.
Ci siamo adagiati sopra un sistema che non ci sta cullando.
Infine, c’è una fetta di gente che abbraccia un’intera generazione che ancora non si è ripresa dalla sbornia dell’epoca Jerry Calà (cit.), periodo che sarebbe stato ottimo come suppellettile ma che qualcuno ne ha fatto l’architrave della propria vita.
Se allora contestare quell’american way of life era arduo, oggi il bisogno di un ritorno alla sobrietà (o comunque ad una bramosia sostenibile) dovrebbe attecchire più facilmente, ma così non è, anche perché la potenza di fuoco di quell’apparato ha raggiunto nel frattempo livelli inverosimili.
Come tutti i monoteismi anche il consumismo con le sue sovrastrutture copre di opacità ciò che gli è avverso ed illumina con un irresistibile riverbero i precetti e le chiavi di volta per diffondere la propria dottrina.
Crea il bisogno inutile, rende improrogabile il superfluo ed essenziale l’apparenza, inculca il mantra del tutto e subito, mantiene una crescente tensione per evitare di programmare e progettare il futuro con raziocinio, incita a vivere come se non ci fosse domani, un’ottima scusa per gonfiare (oggi) la tasca di dietro del sistema dominante.
L’apparire sempre fighini e vincenti sta facendo perdere il senso della vergogna, o magari l’ha celata fra tatuaggi e taccate tamarre alla moda.
Proprio un esegeta di quel sistema affermò che non esistono pasti gratuiti, noi più che seguire guru di successo (quindi alla mercè del potere) o teorie riformiste (alla mercé pure loro) che di pasti ce ne vogliono vendere 10 al giorno, dovremmo riprendere qualche insegnamento della civiltà contadina e scoprire come delle ricette in apparenza inattuali non siano necessariamente scadute e che gli antidoti non sempre debbano essere prescritti, a volte è ammesso un salvifico fai da te.

No, non si tratta di cadere nella trappola ordo-liberista e calvinista di far sentire in colpa la vittima facendole credere che l’unica redenzione per un popolo dipinto come corrotto e prodigo di una nazione indebitata sia la cessione di sovranità e la sottomissione agli integerrimi tedeschi di Germania.
O si fa la fine dello schiavo che invoca la frusta.
Ma in quest’epoca subdola – dove l’opulenza si mischia al pauperismo e discernere l’una dall’altro è già di per sè una sfida – c’è bisogno che ognuno si riappropri con vigore di se stesso cacciando i troppi invasori che ci occupano alleandosi l’uno con l’altro.
Visto che ad essere nella medesima situazione siamo la maggioranza.

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https://andareoltre.blog/2017/08/11/liberismo-cosa/

Tra il dire e il fare

7 Gen

In una città di oltre centomila anime due persone potrebbero non incontrarsi mai e rimanere perfette sconosciute.
Anche le loro idee potrebbero rimanere equidistanti.
Oppure no, potrebbero incrociarsi ed arrivare a sovrapporsi.
Per farlo avrebbero bisogno solo di un piccolo aiuto.
Ecco, magari l’astratto dovrebbe semplicemente avvicinarsi al concreto.

Tomas è un operaio, figlio di operai, e si definisce di destra.
Non che sia invischiato in faccende di partiti o manifestazioni, ma se lui andasse al potere (ognuno di noi è andato al potere almeno una volta nel proprio immaginario) saprebbe come dare una bella sistemata alla nazione.
Ci vuole più ordine in giro, cazzo.
Più rispetto delle regole, più pene per chi delinque.
E ognuno deve essere padrone di decidere a casa propria.
Questo pensa Tomas.
E tutti i torti forse non ce li ha.
Ma sarebbe troppo semplice se la questione si esaurisse lì.
Tomas è a conoscenza di qualche effetto collaterale del fascismo (qualcuno, perché oltre quel livello l’inibitore di onestà intellettuale che è in lui impedisce lo step successivo), ma almeno a quei tempi certi episodi non solo non capitavano, ma neanche se li immaginavano.
Così, per sintetizzare il Tomas-pensiero.
Ma Tomas non è un camerata didascalico intriso di fanatismo che va in pellegrinaggio a Predappio, assolutamente.
Gli piace divertirsi, conoscere gente nuova, fare le sue bisbocce, ama molto viaggiare Tomas ed è un tipo spontaneamente empatico.
Ma quando sente qualcuno che si confà a quei precetti lì sopra (e lui con l’occhio lungo scruta la situazione che invece c’è là fuori), beh, ne è attratto e senza conoscere i meccanismi dell’appartenenza intuisce che l’oratore ha toccato proprio le corde giuste.
E tutte in fila.
Sull’immigrazione Tomas è durissimo, pensa che sia la causa di tutti i problemi attuali anche se non ha mai provato veramente ad analizzare il fenomeno a fondo: perché esiste, chi la fomenta, che meccanismi vuole scatenare, che situazioni vuole scardinare, a chi giova.
Non gli serve, quando qualcuno dissente lui ha pronti i suoi personali casi di vita vissuta che corroborano la sua, di tesi.
Una prova provata di cui lui è il Pubblico Ministero, l’Avvocato ed il Giudice.

Pietro invece lavora in un’associazione di volontariato e tanto per formazione quanto per inclinazione si è sempre poggiato sulla tolleranza rigettando qualsiasi forma di xenofobia e discriminazione.
Si vivrebbe meglio se aprissimo le porte, i cuori e i portafogli ai più deboli e rispettassimo anche chi è diverso da noi.
Per sommi capi ecco un riassunto del suo credo.
Difficile contraddirlo.
Ma sarebbe troppo semplice se la questione si esaurisse lì.
Si è sempre immolato alla causa dei migranti perché ha identificato in loro la parte più vulnerabile e bistrattata della società.
Storia alla mano, dal colonialismo in poi, Pietro è convinto che la parte debole da tutelare siano loro.
Un anti-razzista militante, che ha analizzato e studiato il fenomeno a fondo.
Ma da un solo punto di vista che come una calamita gli ha condizionato la rotta.
Non sappiamo se Pietro, nella società globalizzata del Terzo millennio, abbia mai vagliato nuove ipotesi o esteso il suo pensiero.
Difficilmente ne avrà sentito il bisogno, lui crede di brandire convinzioni inoppugnabili.
E’ una persona brillante Pietro, di quelle che non sembrano avere nulla fuori posto.
Talmente corretto nelle risposte e nei comportamenti che a volte le sue stesse azioni paiono dover seguire un copione di buone maniere.
Fin da ragazzo ha avuto la strada spianata, lui il Mondo l’ha osservato sempre da una posizione propizia e vissuto con un atteggiamento irreprensibile.
Da quell’angolazione il suo logos si è compiaciuto, ha trovato conferme, si è auto-generato.
Mettere qualcosa in discussione in quel vellutato architrave è un’ipotesi da non contemplare anche per chi si dichiara un progressista (e tante altre cose).
O forse proprio perché si dichiara un progressista (e tante altre cose).
E a cambiare quel piedistallo quindi non ci ha mai pensato.
Lui no, ma siccome c’è chi può farlo per noi (e non avvisa e manco chiede un parere, figuriamoci un permesso) ecco che Pietro dopo il matrimonio – da cui ha recentemente avuto una bella bimba – si è dovuto trasferire in un altro quartiere.
Un pò la crisi economica, un pò la bolla immobiliare, un pò quel che volete voi ed ecco che quell’angolo di città si è trasformato in quelle che i telegiornali chiamano “zone difficili”.
Ma solo perché non possono (e neanche vogliono) definirle come “zone di merda”.
Perché tali sono: di tutto quello che può far precipitare la qualità della vita, lì statene certi che non manca (quasi) nulla.
Una sfavillante boutique del degrado perennemente aperta.
E che piaccia o no la differenza fra il prima ed il dopo si chiama immigrazione selvaggia.

Alla mensa dell’azienda di Tomas hanno assunto una ragazza marocchina.
Ci sono delle bellezze femminili volgari, altre ridondanti, eccessive, che urlano loro stesse finendo per imbruttirsi; la sua no, è di una finezza aulica che quando la incroci qualcosa viene sparigliato per il motivo opposto.
La tipa sa indossare la propria avvenenza, che potrebbe far osare di più, ma lei si affida al decoro e ad una semplicità che la rendono egualmente ineffabile, seppur lontana dai recenti canoni che hanno a paradigma veline&soubrette.
Non porta il burka, a differenza della madre che saltuariamente la viene ad accompagnare.
“Con tutti i disoccupati italiani che abbiamo c’era da prendere una marocchina.Avanti pure…”.
Ecco la prima, personale ed intima riflessione di Tomas su di lei.
Può darsi che pensi in particolare a sua cugina, a spasso da quattro lunghi anni nonostante la domanda l’abbia inoltrata anche lei, da un bel pò e non solo lì.
Ma la nuova arrivata inizia a conturbare Tomas.
Se ne sono accorti anche i suoi amici che subito lo sferzano tra conversioni all’Islam, pellegrinaggi a La Mecca e bambini di nome Mohamed ed Abdullah (ognuno ha il proprio modo di andare oltre).
Tomas, piccato quanto basta, se la prende in verità più con se stesso che con loro, perché il suo mansionario non prevede un’ipotesi così ignominiosa.
Tutti i giorni le scruta – quasi le analizza – il culo, e poi borbotta a bassa voce (ma cercando di farsi sentire) volgarità degne di un commilitone da film.
Tomas ha un solo obiettivo, scoparla, e parlando da solo ripete che la cosa deve finire lì, sia chiaro.
Sempre più concupito, dopo ogni apprezzamento fa partire regolarmente un insulto, acido come solo quelli gratuiti sanno essere.
“Andrebbe bene chiavata, la stronza!”
L’offesa serve a scaricare la colpa sulla ragazza.
La colpa di piacergli nonostante l’empio status di marocchina.
Capita quando una convinzione è talmente cementata nel cervello da respingere il ragionamento e i sentimenti.
Per attirare l’attenzione Tomas si traveste da moderato di ampie vedute, evita come uno slalomista certi argomenti spinosi (spinosi soprattutto per lui), il resto lo fa il suo bell’aspetto ed un savoir faire da vitellone (che succhia però dall’heritage di movimenti meno intransigenti rispetto a quelli portati a paradigma da Tomas).
Se qualcuno osservasse il susseguirsi dei suoi atteggiamenti potrebbe malignamente sferzare Tomas asserendo che la falsità e l’opportunismo non capeggiano solamente fra i venditori nei suk.
Tomas si atteggia da un personaggio di comodo che non c’è, ma quel gioco di ruoli, inizialmente mendace, inizia ad invischiarlo e a far diventare pruriginosi alcuni commenti (non certo illuminati) dei suoi compari.
Per la cronaca identici a quelli proferiti da Tomas fino a ieri l’altro.
Ma incontro dopo incontro il nostro deve recitare sempre meno perché sta bene con la ragazza, nessuno sobbalzerà dalla sedia sapendo che tra i due nasce una relazione.
Solo quando si riunisce al branco rimette in piedi il cerimoniale dell’uomo occidentale spietato che esce con la magrebina solo per castigarla: un pò per il gusto di zittire i petulanti amici un pò per far risalire le sue quotazioni nell’ambiente, ultimamente affievolite.
All’inizio è palesemente in imbarazzo solo quando incontra i suoi amici in compagnia di lei, combattuto fra la protezione (e l’attenzione) che un uomo deve riservare alla propria donna e l’iconografia duropurista da mantenere ed alimentare, ma non tarda molto a superare questi vetusti blocchi mentali.
L’amore può accecare ma anche aprire la mente più di un corso intensivo di filosofia alla Normale di Pisa.
Tomas per ovvie ragioni inizia a frequentare anche il fratello della tipa: personaggio edotto ma popolare, coinvolgente senza lambire la propaganda nonché abile oratore, astutamente gli fa annusare le affinità tra le due culture imperniate sul senso di appartenenza ed identità.
Ora l’animo di Tomas si è equiparato al suo comportamento, ma nella sua palingenesi non si è mica ritrovato boldriniano, o parleremmo di conversione e straniamento.
Semplicemente, alcuni dei suoi storici capisaldi adesso riesce serenamente a divulgarli alla morosa trovando peraltro diffuso consenso, ma quei pregiudizi avventati e quel partire dal risultato per poi costruirci sopra un pensiero (unico) li ha buttati nel cesso tirando anche l’acqua.
A quanto pare le qualità che esaltava come patrimonio dei nostrani fanno capolino anche ai nativi di altre latitudini.
Nel frattempo il Mondo non si è fermato per vedere la metamorfosi dell’ex intollerante Tomas e purtroppo non si è fermata nemmeno la malattia del padre.
Tomas non ha perso l’abitudine di trovare sempre un colpevole per tutto, solo che stavolta dargli torto è affar duro: il colpevole c’è e si chiama fabbrica.
Tra i parenti (non un infinità, ma nemmeno quattro gatti), tra gli ex colleghi (che sembravano così tanti) e tra la compagnia del bar (che si conferma una compagnia da bar) i più assidui assistenti al papà risultano i familiari della ragazza (marocchina).
Per Tomas è insieme una carezza – piacevole ed unica come solo quella che proviene dal tuo amore può essere – ed un sonoro cazzotto, un altro colpo da KO che rende parte delle sue preistoriche credenze più affossate che traballanti e lo costringe ulteriormente a quell’inutile, imprescindibile e devastante pratica dei rimorsi e dei “Se l’avessi capito prima”.
Attività oltremodo caustica, che permette finalmente a Tomas di leggere gli avvenimenti e non di subirli e che lo porta a modificare il tiro e a indirizzare il suo livore contro qualcosa che ancora non sa identificare, ma che lui intuisce essere il responsabile di questa guerra fra poveri, di cui l’immigrazione rappresenta l’artiglieria pesante.
Tomas vede ora l’immigrazione come il modo per rendere l’essere umano inerte e diluito e dannatamente manovrabile.
Oggi riguarda certe popolazioni, Tomas teme che a breve possa capitare alla sua.

Scippi, furti, risse, spaccio, sporcizia, aggressioni, stupri: l’inciviltà e la delinquenza hanno preso residenza nel quartiere assieme ai nuovi arrivati stranieri, e con esse la paura.
I nervi sono a fior di pelle: toccati da cotanta abiezione gli storici abitanti sono come bestie vessate nella loro tana che vorrebbero tanto mostrare i canini e la bava ma hanno ancora troppo da perdere.
E la situazione non fa che peggiorare.
Il focolare, la casa, il quartiere, non sono altro che proiezioni di ataviche esigenze del proprio io, che in queste abbiette condizioni viene minato.
Se c’è una cosa che manda in tilt è sentirsi impotenti nel proprio territorio, vederselo depredato, assistere al dissolvimento di quello che avevi prima sognato e poi (tutto od in parte) realizzato.
Pietro non si è mai sottratto a far la conoscenza di situazioni difficili, al contrario, ne è sempre stato attratto e ci ha condito la propria iconografia asserendo che tutti dovremmo vederle prima di giudicare.
Ma non ha mai sperato che sua figlia ci crescesse in mezzo.
Pietro non riesce a pronunciare ad alta voce (e nemmeno sussurrarlo alla coscienza) che un’immigrazione incontrollata procura sicuri disastri, per timore che quei pensieri sconfessino la dottrina a cui si è anchilosato.
Pietro ha paura di quella che ancora (per poco) giudica la suburra di ogni essere umano, lui che si sente ontologicamente differente da chi si accontenta di accusare il migrante solo perché differente.
All’evidenza cerca ancora di rispondere col ricettario dei buoni sentimenti.
Predica calma, vuole allontanare affrettati e facili giudizi viscerali che assomigliano a sentenze, in quella polveriera cerca di introdurre l’ingombrante parola comprensione, esorta a non abbandonarsi a biechi istinti e a non cadere nella facile trappola del razzismo.
Ma il primo destinatario della sua omelia è se stesso.
E come tanti, disattende quella predica.
Ricorda un alchimista a cui le formule, una ad una, si stanno pian piano ribellando.
Pietro dopo aver assistito a scene che mai lo avevano coinvolto direttamente (i racconti e le esperienze distaccate sono un altra cosa, diverso quando a testimoniare sono i tuoi occhi e a rimetterci tu ed i tuoi cari) inizia a fare conoscenza con una parte di se che non sapeva esistesse, o forse è quest’ultima che è voluta uscire stanca del soggiorno obbligato in mezzo a retorica, radicalismo chic, accoglienza tout court che hanno solo fortificato il sistema dominante.
Pietro è uno di quelli che aveva sempre tenuto i classici bei discorsi tondi e ragionevoli in cui l’antirazzismo oltranzista era pregno dello stesso peccato che voleva redimere.
E così il modello-Pietro, permeato con tutti i crismi dell’uguaglianza forzata e che pareva edificato con l’antisismica, inizia a sfogliarsi come un castello di sabbia asciugato dal sole.
Pietro impara che si può capire e condannare, essere comprensivi e duri, che la tolleranza contempla anche la fermezza e la critica, quando è proprio il contrario una sintomatologia del razzismo.
Pietro diventa portavoce della circoscrizione, deve andare in mezzo alla gente, a tutta, scopre che quella che una volta apostrofava come xenofobia oggi si può serenamente chiamare autodifesa, che la cattiveria è presente anche nel debole, nell’oppresso, nello sfruttato.
Essere deboli non esenta dall’essere stronzi.
Proprio approfittandosi dell’aurea di debolezza.
L’incedere degli eventi ha fatto da panno che ha tolto l’opacità dalle lenti con cui Pietro ha finora guardato la vita.
Pietro prende coscienza che se le leggi incentivano il crimine quel paese si trasforma in un ricettacolo di delinquenti e che ci sono persone che scelgono di andare proprio in quel paese per farsi beffa della (in)giustizia.
Ammette di essere stato manipolato, lui ed il suo atteggiamento, perché spesso il potere per raggiungere i suoi loschi obiettivi (che vanno sempre raggiunti) da abile parassita si serve dei buoni sentimenti, li sfrutta, li usa a mo di cavalli di Troia.
Pietro comprende altresì che per fare il bene (il bene di tutti, autoctoni ed immigrati) occorre anche il pugno duro e che in tutte le relazioni (o rapporti) i buoni devono essere in due, altrimenti meglio cambiare registro.

Se Tomas e la sua ragazza stiano ancora insieme non è dato a sapersi.
Il matrimonio, la abitudini quotidiane, la convivenza religiosa, l’educazione da dare ai figli: con due culture differenti possono essere ostacoli duri da superare.
Possono, ma non è detto che accada.
Non abbiamo notizie nemmeno dal quartiere di Pietro, e questo potrebbe essere anche un bene.
Forse.
No, Tomas e Pietro non si sono mai conosciuti.
Loro no, ma le loro idee si sono incrociate.
E quasi sovrapposte.

Racconto di pura fantasia, qualsiasi riferimento a fatti o persone è puramente casuale.

Articolo collegato

https://shiatsu77.me/2016/04/07/qualche-idiota-al-bar/

Qualche idiota al bar

7 Apr

È specialmente al pomeriggio che il bar della piazzetta vorrebbe rinnegare se stesso ed obiettare contro troppi invasori che calcano il suo pavimento, attorcigliano il pensiero e lo fanno evaporare in una nube di fumo.
Che strano, la coscienza che sembra aver abbandonato il genere umano pare ancora pulsare in alcuni luoghi toccati un tempo dalla partecipazione.
Non sappiamo bene perché Roberto fosse lì quel giorno alle tre e mezza.
Non lo sapeva probabilmente nemmeno lui, sempre più astante senza un perché, che pure in quel bar aveva lasciato un pezzo d’anima, parecchi stipendi e quasi tutta la dotazione di illusioni.
Ma non c’è cosa che appaia più distante che un ricordo svuotato del suo senso.

Accompagnato dalla sua perenne espressione tra il baldanzoso e l’incazzato e col suo inseparabile piumino blu smanicato, entrò nel bar il Picchio.
Come un rabdomante di notizie si diresse subito dalla parata di quotidiani in cerca di un casus belli che in realtà possedeva già.
Ma la cerimonia richiedeva questo passaggio, oramai lo aveva capito pure Ettore, non certo il più ineffabile dei baristi.
Terrorismo, immigrazione, furti, rapine: il terreno era fertile, l’abbrivio non si fece attendere.

I dieci cadaveri ambulanti – inopportunamente scambiati per clienti – in un sussulto improvviso annuirono in maniera sincronizzata, raggiungendo così l’acme della loro vitalità.
Roberto, anche per punire loro, intervenne.

in un tono che di amichevole non aveva nulla.

– indicando Ettore che stava asciugando lo stesso bicchiere da cinque minuti.

e anche la sua vena del collo rischiava di finire male viste le dimensioni che aveva assunto.

chiosò più rubicondo che mai.

sentenziò oltremodo soddisfatto e sollevato.
<Premesso che con sta cosa dello Zio mi avete infiato i maroni – al massimo sarò Zio vostro – comunque, ai tempi del ventennio tu saresti stato uno dei primi a prendere delle legnate.Fra le 420 colpe del fascismo c’è quella di aver incistato negli italiani la tara genetica di adulare il più arrogante che spara le stronzate più grosse, compie le peggiori angherie distogliendo dalla realtà i suoi servi.E poi ricordati che c’è sempre qualcuno più fascista di te.>

E mentre il barista, col suo sorriso sempre ebete ma perlomeno più consapevole, ripensava alle risposte di Roberto, il Picchio aveva accusato il colpo, ma come insegnavano i suoi maestri quando uno è alle corde occorre buttarla in caciara.
Congedò la folla – che si era irrimediabilmente perduta tempo prima alle parola alibi – con un nugolo di massime per le grandi occasioni, indubbiamente personali e nondimeno sentite, ma pur sempre delle emerite stronzate.

Puntuale nel suo fancazzismo giornaliero (pure retribuito, malignava qualcuno) fece la sua comparsa Fabio N., l’estremista dei riformisti, il conformista degli anticonformisti, un progressista che riusciva a riabilitare certi reazionari.
Anzi, tutta la categoria.
Col Picchio s’incrociò quasi sulla porta del bar per un breve ma intenso trust di cervelli.
Fu una sorta di staffetta fra due esegeti del Pensiero Unico, fra due poli opposti che non si attraggono ma che sono simbioticamente sorretti dal potere dominante.
E viceversa.
Niente favelle, solo un pit stop di sguardi coi sottotitoli dei reciproci auguri (di morte).
Fabio N. portava una barba inutilmente lunga, teneva sottobraccio una simil-rivista che sarebbe stata inadatta anche come carta igienica e brandiva un vinile, colonna sonora del suo bisogno di sublimare cultura.
Le mode lui le aveva sempre (in)seguite.
Anche il frigo tatuato Heineken stava facendo il conto alla rovescia alla sua intemerata.
E Fabio N. lo tolse subito dagli impicci.
<Il nostro Fuhrer di provincia ha lanciato l’ennesimo allarme immigrati?>
I presenti, anche se erano quei presenti di prima, speravano che a prendere la parola fosse una persona sola.
Roberto non lo guardò neanche in faccia, fece finta di continuare a leggere il giornale che naturalmente si guardava ben di leggere.

<Se hai sentito odore di xenofobia e discriminazione probabilmente ti sei annusato da solo, visto che non compatisci le persone comuni, quelle semplici, specie se italiani, perché quelli non ti fanno curriculum.>

“Tu stai dalla parte del potere , che si serve di loro. Invece dalla parte dei più deboli ci stai a targhe alterne e quando ti fa comodo, ti commuovi solo se la storia parte dall’estero, se il poveraccio è italiano diventi insensibile.
E poi, tu che Parli di diritti?Ti dimentichi di uno dei diritti inalienabili dell’uomo: il diritto a vivere nella propria terra e a scegliere liberamente dove andare.Prova a leggere qualcosa di qualche attivista africano anziché quei delinquenti travestiti da intellettuali filantropi.
Ma a te che te fotte se con questo sincretismo forzato si crea il caos, se l’immigrato perde ulteriormente dignità ed al locale precipitano le condizioni di vita…A te interessava passare da intellettuale cosmopolita.>

<Sì, bravo, comincia con le tue supercazzole sul mondo multietnico, l’unico argomento per mostrare la tua presunta cultura e apertura mentale.
Peccato che l’autoritarismo di oggi si chiami globalizzazione, e tu sei un suo servo, più o meno consapevole.
L’immigrato a te va bene per una mostra fotografica, per la cena etnica a base di spezie e boku boku, per la poesia che manco capisci al circolo letterario ma che fa tanto internazionale, va bene se l’immigrato è uno pseudo artista con la tunaca – d’altronde voi siete degli pseudo intellettuali – l’importante è che l’immigrato vero, quello di strada, quello con tanti problemi, non si avvicini ai vostri attici, non sbecchi le vostre flutes piene di bollicine, non venga a vendere nelle vostre spiagge , nelle spiagge dove vanno tutti sì, che non danno fastidio, nelle vostre no, lì stonerebbero.>

<Ma chi ha detto di costruire muri?Ti è partito lo slogan sbagliato, forse devi cambiare le pile.
Il problema non sono le frontiere aperte, ben vengano quelle, ma le migrazioni economiche, persone che girano come trottole al pari delle merci e dei capitali.Alla fine per te merci e persone meritano lo stesso rispetto.>

<A forza di dare dei fascisti a tutti avete sminuito il termine anti-fascista, anche perché il fascismo attuale ti sogni bene di combatterlo.
Se c’è un fascista quello si tu, visto che ti sei appropriato dell’esclusiva della democrazia e pontifichi dall’alto di una superiorità morale e intellettuale che non riesco a vedere nemmeno con un microscopio e visto che appoggi il fascismo attuale, quello della globalizzazione e del mercato.
Vedi, i razzisti sono quelli come te e come quella testa di cazzo in cui ti sei imbattuto entrando qui, lui sfrutta gli immigrati per mostrarsi macho e forte , tu per farti bello e buono, voi siete le due facce, da culo, della stessa medaglia, infatti appoggiate lo stesso sistema.
E siccome tu sei il simulacro dell’impegno sociale, della tolleranza , della libertà e della coesione, sei doppiamente un figlio di puttana.>

Fabio N., intriso com’era di protagonismo, non seppe rinunciare ad un’uscita di scena tanto ampollosa quanto patetica.
Quasi un condensato della propria vita.
Il barman invece sembrava quasi ringalluzzito.
Ovviamente non era vero, ma in questo suo tentativo di parossismo chiese a Roberto, sicuro di coglierlo in castagna

Quel giorno il bar si era proprio divertito.

Dedicato a te/3

12 Feb

(Dedicato a te è un periodico sfogo, un balsamico travaso di bile che avrà per destinatari sia i massimi sistemi sia il particolare.
Lo stile sarà volutamente scarno, asciutto, anche volgare, gli approfondimenti ed i ricami cerco di metterli in altri lavori)

Vedo che sono ancora in troppi a mostrarsi un pò duri di comprendonio (come dice mia mamma) o di sterzo  (come dice mio papà), allora cercherò di fare luce sulle fantomatiche riforme di cui ha un enorme bisogno il paese, tanto decantate da essere ormai attese da una parte del popolo come una parusia ed invocate più di una danza della neve negli impianti sciistici.
Già il fatto che queste riforme ce le chiedano il mercato e l’Europa dovrebbe insospettire.
Una delle prime regole per evitare di farsi prendere per il culo è diffidare di chi parla in nome di entità astratte.
Se non siete convinti domani vengo a casa vostra ed in nome del libero mercato (o di una divinità inventata sul momento per l’occasione) vi chiedo di regalarmi 10.000 € e vostra moglie.
Ma evitiamo digressioni e torniamo tout court alle nostre riforme, che consistono in:
– tagliare i fondi alla sanità pubblica, ma dato che ancora qualcuno brancola nel vuoto vuol dire che se sei malato – ma sfortunatamente per te senza un conto in banca con sei zeri per andare in qualche esosa clinica privata – sono cazzi tuoi.Decisamente cazzi tuoi.Condizione che da malati non è propriamente idilliaca.
– tagliare i fondi pure alla scuola pubblica in modo da renderla sempre più inefficiente in un livellamento al ribasso della qualità.Nei paesi dove le riforme hanno già preso piede, dalle scuole private (si legge a pagamento) escono i manager e la classe politica, mentre da quelle pubbliche al massimo l’ambientazione per il sequel di The Principal – Una classe violenta.
– tagliare i fondi agli altri servizi pubblici e spingere sulle privatizzazioni.Noterete che alle riforme tutto ciò che è pubblico sta pesantemente sui coglioni, ma le riforme le chiede il mercato e nel mercato più si guadagna meglio è.Pazienza per le persone;
– eliminare l’autonomia decisionale locale (nelle varie declinazioni) demandandola a mastodontici soggetti internazionali non eletti da nessuno (per quanto le elezioni possano avere ancora un senso).La sovranità e l’indipendenza sono altre due cose che stanno fortemente sui coglioni alle riforme.
– soffocare lentamente le piccole imprese e l’imprenditoria locale e tutto ciò che non rientra nel perimetro dell’economia globale.Alle riforme quello che non sa di multinazionale sta sui coglioni.
– pagare il meno possibile i lavoratori, creando volutamente disoccupazione ed offerta di manodopera a basso costo con la minaccia di trasferire tutto dove il lavoro costa già di meno e parimenti tagliare uno ad uno i diritti conquistati a fatica.Smodatamente suscettibili le riforme, anche i diritti gli stanno sui coglioni.

Se seguissimo le regole della semantica e del buon senso sarebbero innumerevoli le situazioni da riformare, ma proprio per evitare le riforme di cui sopra.
Evidentemente nel cervello delle persone fa breccia più facilmente la via breve e comoda dello slogan, della menzogna, dell’alibi e della redenzione che quella del collegamento e del libero pensiero.
Ovvero il tipico atteggiamento degli schiavi che non vogliono uscire dalla loro condizione.

Dedicato a te/2

24 Nov

(Dedicato a te è un periodico sfogo, un balsamico travaso di bile che avrà per destinatari sia i massimi sistemi sia il particolare.
Lo stile sarà volutamente scarno, asciutto, anche volgare,gli approfondimenti ed i ricami cerco di metterli in altri lavori)

Dedicato a chi non comprende che il fenomeno del terrorismo è da affrontare in maniera olistica.

Dedicato a quelli che neanche stavolta un ragionamento approfondito, un collegamento, un grattino che tolga la nebulosa patina che ricopre i fatti per tentare di scoprire la cruda realtà.

Dedicato a coloro che non si chiedono chi siano questi terroristi che stanno spaventando il Mondo, chi li abbia finanziati, addestrati,armati e manipolati (a vicenda).

Dedicato a chi fa finta di non vedere la corresponsione di amorosi sensi fra gli ammerrikani e qualche emirato (esempio didascalico di democrazia e di rispetto dei diritti umani), ma evidentemente il petrolio – oltre a quelle energetiche – ha proprietà di occultamento dell’evidenza.

Dedicato a chi vende le armi e poi si stupisce che vengano usate.Forse pensava a tanti collezionisti.

Dedicato a chi – fra mille stronzate ed una quintalata di retorica – non ha offerto lo straccio di un pensiero a come verranno turbate la personalità ed il subconscio di un bambino davanti ad un atto di terrorismo.

Dedicato a chi non ha mai pensato alle condizioni di un fanciullo, magari orfano, durante una guerra e a quanto sia facile convertirlo ed avviarlo ad altre contorte idee di morte.

Dedicato a chi si indigna a giorni alterni e in base alla latitudine degli attentati, perché la loro non è solidarietà ma fotta (giustificata, giustificatissima, ma fotta).

Dedicato a quanti, nei loro discorsi, c’è di tutto (ma proprio di tutto), tranne le parole uomo e vita.

Dedicato a quelli a cui dicono come prostrarsi e qual’è il cordoglio più alla moda per essere sempre nel gregge che segue il Pastore del Pensiero Unico senza mai svegliarsi con l’idea di diventare una pecora nera.

Dedicato alle faccine con la bandiera francese o con la Tour Eiffel come ai canterini della marsigliese: già dimenticate la guerra in Libia e l’appoggio ai ribelli in Siria (cioè gli stessi a cui ora hanno dichiarato guerra).Non ho visto specifiche App per le guerre intelligenti che l’Occidente ha dichiarato sul niente (più niente delle altre guerre) all’Iraq e all’Afghanistan, o per la questione palestinese, o per il genocidio del Ruanda, o per la guerra dei balcani o quando i paesi della Nato sotto l’egida americana (o viceversa) appoggiano qualche salubre dittatura in giro per il Mondo.Poche settimane fa un raid dei noti guerrafondai esportatori di democrazia ha bombardato un ospedale (sic) in Afghanistan, in Libano c’è stato un attentato della stessa matrice di quello parigino ed un aereo civile russo è saltato in aria verosimilmente per un atto terroristico: il vostro Smartphone non vi ha aggiornato o aveva una memoria insufficiente per scaricare tutte quelle bandierine?O non ve ne fregava un cazzo perché erano lontani?

Dedicato a chi sarebbe meglio si rivedesse qualche passaggio storico, quantomeno dalla spartizione dell’Impero Ottomano in poi (i confini fatti coi righelli dagli inglesi e dai francesi qualcosa dovrebbero suggerire).

Dedicato a chi ci esorta a non avere paura.Io ho paura e non da quel venerdì.Paura dei terroristi e di quelli che dovrebbero in teoria proteggerci da loro.

Dedicato a chi si è accorto che “Houston, abbiamo un problema”.

Dedicato agli araldi e agli esegeti della Fallaci (nomen omen), perché il fondamentalismo l’hanno creato le politiche dei paesi occidentali, partendo dalla sommaria divisione del Medio Oriente, proseguendo con le ingerenze perpetue, con le invasioni fino alle più sanguinose guerre.La Fallaci è stata ascoltata (purtroppo) più di quanto in tanti reclamino: sicuramente con le soluzioni (guerre preventive) adottate in Iraq ed Afghanistan (circa 500.000 morti per ognuna delle due esiziali dimostrazioni di forza, 100.000 più 100.000 meno e credo tanto odio seminato da far crescere terroristi per generazioni).L’Islam c’è dal 622 d.c., il jihadismo da molto meno. Evidentemente qualcosa nel mezzo è successo.Certo, una grossa mano gliela hanno anche data certi arabi intrisi come sono di fanatismo e di fusione stato-religione ma anche circondati di povertà a dimostrare ancora una volta a cosa servano le religioni e quale sia il contesto dove possano meglio attecchire.

Dedicato a chi compie atti di guerra col nome di un Dio in bocca (categoria alquanto vasta, da est a ovest).

Dedicato ai difensori dei valori occidentali.Peccato che i valori occidentali siano lo sviluppo, la crescita infinita, il sacrificio dell’uomo all’altare del guadagno.Come diceva qualcuno “Consumare per produrre”, o “Produci, consuma, crepa”.Questi altisonanti ideali si possono ridurre al way of life americano che prevede di invadere i mercati ed i Paesi allo stesso modo e con le stesse finalità: aumentare le quote di mercato.Se davvero fosse una guerra di civiltà – quella occidentale consumista contro quella islamica – speriamo che abbia ragione Massimo Fini quando si augura che le due si annientino a vicenda.E che palingenesi (non certo fascista) sia.

Dedicato ai filantropi dell’integrazione forzata, quelli che non si può fare nessun commento pena la scure del razzismo e che il Mondo sarà salvato dal sincretismo e dalla globalizzazione perché è un processo inevitabile.Ma il caos che regna nel Medio oriente è ascrivibile – fra i tanti – anche a buona parte di sceicchi e monarchi, che troppo spesso stringono il Corano con una mano e i petrodollari con l’altra.Petrodollari che i loro popoli non solo non vedono , ma di cui non sentono neanche l’odore.

Dedicato a quelli che considerano retrivo non rompere i coglioni a casa degli altri (anche se ci sono regimi inaccettabili per gli occhi dell’osservatore) e, da ospiti, rispettare le leggi (anche se ingiuste) e gli stili di vita (condivisibili o meno) del Paese che ci accoglie.Per un concetto chiamato autodeterminazione spetta ad ogni popolo cercare di abbattere quel regime o cambiare quelle leggi.

Dedicato a coloro che devono per forza essere filo-qualcosa.Impariamo a non essere filo un cazzo.

Dedicato a chi non si è ancora accorto della pericolosità delle religioni e degli altri monoteismi (sviluppo, mercato, crescita).

Dedicato a quelli che la spiritualità è una cosa, le religioni una sua manipolazione ed uno strumento di potere e controllo.

Dedicato a quelli che il libero pensiero,l’assenza di dogmi, l’informazione e l’onestà intellettuale… tutta robetta da intellettualoidi della domenica.

Dedicato a quelli che hanno paura a pronunciare la parola odio.L’odio è un sentimento come tutti gli altri.Non è soffocandolo che si evita la violenza.Ognuno di noi può odiare chi vuole, l’importante è che non gli si torca nemmeno un capello.

Dedicato a chi confonde il fenomeno terrorismo col fenomeno immigrazione.

Dedicato a chi sostiene che sia una guerra di religione e quindi ci vuole un fronte comune cristiano.Certo, facciamo a gara a chi ha il Dio più grosso.

Dedicato a quelli che siccome la guerra di religione è proprio nell’Islam, ci hanno voluto mettere ovviamente il becco.

Dedicato a coloro che a parole tendono la mano all’Islam moderato (concetto alquanto vago, peraltro) ma che nei fatti hanno sempre appoggiato i regimi sunniti o gli wahhabiti (fattispecie concreta, invece).

Dedicato a chi non ha mai ascoltato (o capito) I mostri che abbiamo dentro di Giorgio Gaber.

Dedicato a certi corvi ed avvoltoi dei mezzi d’informazione.

Dedicato a quanti possedevano da subito la soluzione pronto uso: discorsi vecchi per nuovi disastri.

Dedicato ai desiderosi di bombardare i colpevoli, quindi a occhio e croce 3/4 del pianeta.

Dedicato sempre agli interventisti a prescindere, che per la stessa teoria di cui sopra ci avrebbero già dovuto bombardare da tempo visto che vantiamo la Mafia ed altre carinerie simili.

Dedicato anche ai vetero-pacifisti che hanno fatto la fortuna dei guerrafondai.

Dedicato ai massimi esperti di strategia militare, quelli hanno ricostruito tutto per filo e per segno.Ex post.

Dedicato agli investigatori che ritrovano sempre i passaporti degli attentatori.

Dedicato a chi, alla spiegazione della strategia della tensione, pensa ad un fenomeno elettrico, gli stessi che la zona d’ombra è solo quella sotto l’ombrellone.

Dedicato a chi dovrebbe conoscere le logiche del terrorismo e sapere che può essere una vigliaccata compiuta dai terroristi, una vigliaccata compiuta dai terroristi in risposta ad un’altra vigliaccata, oppure una vigliaccata compiuta da qualcun’altro dando la colpa ai terroristi.O anche un misto di tutto questo.

Dedicato a chi farebbe meglio a dare almeno una sbirciata alla teoria dei cerchi concentrici per entrare nei collegamenti fra chi l’attentato l’ha ordinato, ideato ed eseguito.

Dedicato a quelli che non pronunciano mai “Cui prodest?”

Dedicato a quelli affetti da kossighite, che oggi ammettono che sì, iniziare una guerra senza un briciolo di un motivo fu un errore e ne paghiamo tutti le conseguenze.E a quelli che fra 10 anni diranno che sì, volevamo deportare alcuni Governi sciiti a noi sgraditi e ci siamo serviti di loro, solo che la situazione ci è forse sfuggita un pò di mano.

Dedicato alle dottrine economiche e sociali dell’Europa e del mondo globalizzato.

Dedicato agli speranzosi delle soluzioni dei “governanti”.

Dedicato a quanti vorrebbero un esercito europeo.Non ha fatto già abbastanza questa Europa?

Dedicato a chi scrive certi titoli dei giornali, come anche chi brama di vederli, certi titoli.Domandina facile facile:cosa cazzo avreste scritto (o avreste voluto leggere) per esempio dopo la strage della stazione di Bologna o a quella di Capaci?

Dedicato a quelli che che ancora credono che gli sceriffi del Mondo capitanati dal Bush nero (a sua volta comandato da altri) portino pace e prosperità.Sono fanatici non meno di chi si fa saltare per aria.Emettono tanta libertà che ne hanno un surplus, devono esportarla, parlano di pace e sono stati in guerra 220 anni sui 239 della loro storia.Gli anni di riposo hanno per lo più rivoltato il buon gusto.Rimangono finora l’unico Stato ad aver sganciato le atomiche (a guerra già vinta).

Dedicato agli yankee, e ai francesi, inglesi, israeliani e turchi (intesi come Stati, non come cittadini), per le loro mosse di politica estera.

Dedicato a quelli che Putin prima era il Male assoluto ed ora il Salvatore dell’Umanità.

Dedicato a chi non mette sullo stesso piano gli attentatori e i potenti che hanno voluto e/o causato e/o permesso ciò.

Dedicato al Dio denaro ed ai suoi devoti.

Dedicato all’affare economico a prescindere.Ed il prescindere è l’essere umano.