Liberismo e barbarie

18 Mar

(Articolo scritto grazie al contributo di Daniele Cassinadri e Cristian Martinelli)

 

Solo gli occhi degli stolti e dei disinformati (tipologie che possono anche coincidere) non riescono a vedere che la situazione economica attuale è tutto fuorché casuale e che è possibile individuare le cause ed i rimedi, con la sola penitenza di essere riempiti di epiteti quali gufo, disfattista, populista, fino a terminare l’empia lista.
Ma quelli che non vogliono annegare nel mare magnum del pensiero unico e sentono di dover sfidarne le onde e le correnti, dovranno allargare gli orizzonti facendo propria la tesi per cui un fenomeno – anche questo, che è di stampo prettamente economico – non si può affrontare solo con argomentazioni ed approcci endogeni alla categoria.
Cercare un colpevole – e qui c’è, si chiama neo-liberismo con tutte le applicazioni al seguito – non dev’essere un alibi da tenere nel taschino pronto uso e non deve nemmeno esimerci da quelle attività tanto imprescindibili quanto faticose che sono l’autodiagnosi e l’osservazione attiva e critica di ciò che ci circonda.

E’ vero, un pezzetto alla volta ci stanno rubando il futuro, deflagrando i diritti che altri avevano ottenuto e riportando i rapporti di forza a livelli ottocenteschi (se non più addietro) ma di contraltare (e per una contraddizione insita nell’economia moderna) agli oppressi – che sono sfruttati, bistrattati, umiliati, derisi, calpestati e malpagati – manca uno spirito di sacrificio.
Non a tutti, non a tutti nello stesso modo, diciamo in media, più una certa deviazione standard.
E gli oppressi mica devono essere ricercati solo fra gli indigenti senza un tetto ed un lavoro, no signore, ma anche fra coloro che credono di aver migliorato la propria condizione, ma solo perché del loro praticello ammirano i fili d’erba, senza nemmeno alzare lo sguardo a vedere l’aria che li sovrasta di che colore è.
Gli oppressi siamo tanti e se, oniricamente, dipendesse solo dalla nostra volontà, dalla nostra abnegazione, dalla nostra disponibilità a rinunciare a qualcosa oggi con la certezza di costruire delle solide e durature basi per il domani, sapremmo uscire da questa palude e virare verso lidi più favorevoli?
Non ne sono così convinto.
Per diversi motivi.
Il primo: l’attuale architettura economica, dopo l’infatuazione del rodaggio e ed un senso iniziale di ebbra onnipotenza, porta alla disillusione, all’annientamento, all’alienazione, al nichilismo; sbattersi oggi (da dipendente, da artigiano, anche da imprenditore) ha qualcosa in comune con la fatica di Sisifo.
In quest’ingranaggio che si auto-genera e che non sembra ammettere granelli di sabbia al suo interno,un impegno indefesso può apparire a più d’uno come un assist al carnefice-capitale, che irrobustisce la fonte dei mali e lascia solo le briciole.
Si potrebbe controbattere articolando ragionevoli motivazioni, ma le istanze portate a corredo della loro idea non sarebbero da meno.
Si parte da un autodifesa, dal concetto di resilienza e resistenza ad un mostro economico, ma l’effetto collaterale è di perdere del mordente, quella spinta rutilante che aiuta a sverniciare i problemi, quel sano rimboccarsi le maniche spendibile in tutte le pieghe della vita.
Secondo motivo: avere vissuto l’adolescenza in anni comodi ha idealmente formato una bambagia fra noi ed il mondo, un cuscinetto che ha ammorbidito le sconnessioni, sì, ma anche il carattere.
Adesso ognuno di voi penserà ad uno o più comportamenti che lo esenti dall’ultima affermazione, ovviamente il culo se lo fanno in tanti, ma se i nostri genitori 50 anni fa fossero stati proiettati nei giorni giorni patirebbero meno la crisi e l’affronterebbero con un piglio differente, forse perché impermeabili alle trappole di oggi, loro che videro davvero la miseria.
Per non parlare se noi finissimo sparati dritti nel dopoguerra…
I nostri genitori, conoscendo di persona la fatica, hanno cercato di evitarcela sognando per noi lavori di concetto più che di braccia, amorevoli pensieri che sommati al contesto hanno generato in noi aspettative un pò pretenziose e quantomeno rigide.
Ci siamo adagiati sopra un sistema che non ci sta cullando.
Infine, c’è una fetta di gente che abbraccia un’intera generazione che ancora non si è ripresa dalla sbornia dell’epoca Jerry Calà (cit.), periodo che sarebbe stato ottimo come suppellettile ma che qualcuno ne ha fatto l’architrave della propria vita.
Se allora contestare quell’american way of life era arduo, oggi il bisogno di un ritorno alla sobrietà (o comunque ad una bramosia sostenibile) dovrebbe attecchire più facilmente, ma così non è, anche perché la potenza di fuoco di quell’apparato ha raggiunto nel frattempo livelli inverosimili.
Come tutti i monoteismi anche il consumismo con le sue sovrastrutture copre di opacità ciò che gli è avverso ed illumina con un irresistibile riverbero i precetti e le chiavi di volta per diffondere la propria dottrina.
Crea il bisogno inutile, rende improrogabile il superfluo ed essenziale l’apparenza, inculca il mantra del tutto e subito, mantiene una crescente tensione per evitare di programmare e progettare il futuro con raziocinio, incita a vivere come se non ci fosse domani, un’ottima scusa per gonfiare (oggi) la tasca di dietro del sistema dominante.
L’apparire sempre fighini e vincenti sta facendo perdere il senso della vergogna, o magari l’ha celata fra tatuaggi e taccate tamarre alla moda.
Proprio un esegeta di quel sistema affermò che non esistono pasti gratuiti, noi più che seguire guru di successo (quindi alla mercè del potere) o teorie riformiste (alla mercé pure loro) che di pasti ce ne vogliono vendere 10 al giorno, dovremmo riprendere qualche insegnamento della civiltà contadina e scoprire come delle ricette in apparenza inattuali non siano necessariamente scadute e che gli antidoti non sempre debbano essere prescritti, a volte è ammesso un salvifico fai da te.

No, non si tratta di cadere nella trappola ordo-liberista e calvinista di far sentire in colpa la vittima facendole credere che l’unica redenzione per un popolo dipinto come corrotto e prodigo di una nazione indebitata sia la cessione di sovranità e la sottomissione agli integerrimi tedeschi di Germania.
O si fa la fine dello schiavo che invoca la frusta.
Ma in quest’epoca subdola – dove l’opulenza si mischia al pauperismo e discernere l’una dall’altro è già di per sè una sfida – c’è bisogno che ognuno si riappropri con vigore di se stesso cacciando i troppi invasori che ci occupano alleandosi l’uno con l’altro.
Visto che ad essere nella medesima situazione siamo la maggioranza.

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https://andareoltre.blog/2015/09/12/chi-e-il-nemico/

https://andareoltre.blog/2017/08/11/liberismo-cosa/

2 Risposte a “Liberismo e barbarie”

  1. malosmannaja 27/03/2017 a 09:23 #

    un’analisi lucida, che in qualche tratto però cade vittima del pensiero dominante. così ad occhio potrei essere una quindicina di anni più vecchio (se il 77 accanto a shiatsu non è solo l’anno del punk), e non lo dico per millantare con supponenza una fantomatica “maggiore esperienza” legata all’età, ma solo perché nei fatti sono *anche* genitore.
    dico questo perché l’idea padoaschioppiana dei “bamboccioni” che tra le righe emerge quando al “secondo motivo” parli di “anni morbidi” che avrebbero allontano le nuove generazioni dalla “durezza del vivere”, è un classico cavallo di battaglia della comunicazione mainstream tesa a far sentire colpevoli le vittime. la frase “I nostri genitori, conoscendo di persona la fatica, hanno cercato di evitarcela sognando per noi lavori di concetto più che di braccia, amorevoli pensieri che sommati al contesto hanno generato in noi aspettative un pò pretenziose e quantomeno rigide” parte dal presupposto che la *fatica* sia formativa e non la *cultura*. è la distorsione fondamentale tanto cara al sistema mercato globale secondo la quale con un abile gioco di prestigio si passa dal manuale (inteso come libro di testo) al manuale (inteso come lavoro manuale) ottenendo due piccioni con una fava: popolazione mediamente più formata/specializzata/adattata all’idea di un mercato totale e meno istruita/emancipata (meno capace di pensiero critico e di visione d’insieme). e non è un problema solo italiano (alternanza scuola-lavoro e “buona scuola”), ma globale. prendiamo ad esempio il Giappone: nel 2015 un attacco senza precedenti alla cultura sociale ed umanistica nell’istruzione superiore è stato portato dal “consiglio per la competitività industriale” (il nome è tutto un programma, eh?), un organo di nove ministri, le cui aree di competenza sono le seguenti: sette manager aziendali, un ingegnere e un economista (!!!!). risultato? negli ultimi decenni un processo organico di destrutturazione della scuola e di commercializzazione del pensiero (veicolato da media e compagnia bella), con l’aiuto di droghe stupefacenti dispensate a piene mani dal sistema (féisbuk, tecnologia, consumo, spettacolo), ha reso le nuove generazioni più vulnerabili e meno capaci di fare fronte comune.
    altro feticcio mainstream che eviterei di brandire in tono moralizzatorio, è quello montiano della “sobrietà” (anche qui, l’obiettivo è di far sentire le vittime colpevoli, un meccanismo psicologico molto simile all’autorazzismo che ci ha convinto che l’Italia meriti gli sfracelli in cui siamo stati trascinati dall’assassinio di Ernico Mattei e dal Britannia in qua), “sobrietà” che in sé e per sé non vuol dire nulla (tipo “le riforme” o il “più Europa”) e che ci nasconde dietro a paraventi di comodo il solito problema di cui sopra: la distruzione della scuola pubblica (e della sanità pubblica, scusa se lo aggiungo qui un po’ fuori contesto, ma sono un medico e mi sta a cuore la cosa). questo è il vero problema da risolvere e dubito che potremo farlo rivolgendoci a pseudo-discipline orientali metafisiche che ci aiutino a “riappropriarci con vigore di noi stessi” in un salvifico “fai da te”.
    scusa se mi sono accalorato (ho scritto con affetto e rispetto, sia chiaro, anche perché per il resto cos’è che non va l’hai capito benissimo e a maggior ragione ci tengo a provare a comunicare aspetti del problema che mi sembrano importanti).

    • shiatsu77 27/03/2017 a 18:35 #

      Confermo, 77 è la classe.
      Ti assicuro che sono impermeabile (anzi, refrattario) dai subdoli meccanismi ordo-liberisti e calvinisti di far sentire la vittima un colpevole con l’obiettivo di far invocare la catena agli schiavi.
      L’assioma Italia-corrotta-con alto debito pubblico-è colpa nostra-meglio togliere sovranità con me non attecchisce, quando qualcuno porta questi argomenti di solito gli rispondo se conosce il Divorzio della Banca d’Italia dal Tesoro del 1981, visto che il debito pubblico così ignominioso fu creato ad hoc per iniziare quel progetto.
      Questo articolo era un di cui, perché secondo me accanto all’analisi che hai fatto tu e che io condivido c’è da ammettere che oggi la gente si preoccupa più per l’ultima versione dell’I Phone o dell’offerta sul volo aereo che della sanità, della scuola, del lavoro e delle pensioni che questi liberisti ci stanno togliendo (paradosso orwelliano, sicuramente voluto, ma c’è).
      Anche chi ha compreso le cause e le origini del male non deve esimersi, credo, da affrontare l’argomento ad ampio raggio e non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale.
      Il “fai da te” a cui faccio riferimento è non farsi ammaestrare dalle giaculatorie del mainstream, ma iniziare ad emanciparsi e a ragionare con la propria testa.
      Diffidando, ad esempio, degli slogan ripetuti h24.
      E’ molto stimolante interloquire con te, spero che capiti ancora.

      ammaestrati mainstream

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