Te ne accorgi passati i primi due minuti di conversazione, nei quali più o meno tutti sfoggiano un generalista e patinato protocollo votato all’equilibrismo per far convergere i punti di vista, dato che vengono toccati quegli argomenti ecumenici che ci fanno andare d’amore e d’accordo (il tempo, l’inquinamento, la sicurezza, il cibo, la frenesia della vita moderna, l’eccesso di chat su Whattsapp, gli elettrodomestici che non durano più un cazzo).
Ma centoventi secondi, quando va bene, finiscono in fretta e basta una battuta (pungente o meno) od un’osservazione (acuta quanto basta) ed ecco che scatta implacabile nel tuo interlocutore la scure dell’omologazione, impaziente com’è di catalogare il dirimpettaio.
E’ troppo più forte di lui, d’altronde mica lo hanno ammaestrato a caso.
Una delle prime cesure imposte dal Pensiero Dominante è dividere coloro che sono simpatici, gioviali, burloni, solari, forse un pò leggeri e a volte sciocchini con quella loro perenne voglia di allegria, da quelli, profondi e seri, ma con la tara – si dice – di essere pesanti, cupi e decisamente pessimisti.
Obiettivo: far desistere dall’approfondimento quelli a cui piace divertirsi – pena diventare degli sfigati asociali – e nondimeno passare il messaggio agli impegnati di non mischiarsi alla vulgata che ride per una scoreggia o per una battuta dei film di Natale (quindi più o meno per la stessa cosa).
Il nuovo Vangelo secondo Mainstream non permette di seguire contemporaneamente il calcio e la pittura rinascimentale, leggere i filosofi esistenzialisti ed andare a girare in moto, scrivere poesie ermetiche e la sera dopo prendere un ciclone con gli amici in birreria, ascoltare la musica classica e guardare le sit com, essere felice se leggi brutte notizie, vivere serenamente se ti poni questioni troppo complicate, risultare pratico se ambisci a comprendere i concetti che vanno oltre l’abc decantato dall’archetipo del conformismo.
O lo svago o l’approfondimento, o la manualità o intelletto, quasi fossero pianeti con distanze siderali che per visitare uno occorra abbandonare definitivamente l’altro.
Così ognuno di noi atrofizza una parte di sé (quella di minoranza, certo, ma sempre roba nostra), o al massimo la nasconde talmente bene che se mai un giorno tornasse buona non varrebbe nemmeno la pena di mettersi a cercarla, da tanto è infognata.
E ci si incasella.
Flupp.
Vuoi conoscere, studiare, approfondire?
Ma certo che sì, oggi il sapere è alla portata di tutti, ce lo ripetono in maniera oltremodo sospetta, solo che l’approccio olistico è accettato come un ateo ai tempi dell’Inquisizione, mentre fioccano aedi per quello specialistico: studia bene la tua materia col copione che ti passano e non uscire mai dal seminato, così il tuo punto di vista si cristallizza a dovere ed il ragionamento esclude tutto l’universo che sta intorno e scongiura alla radice l’insorgere di dubbi che possano sconfinare in empio scetticismo per la Sacra Versione Ufficiale (sempre sia lodata).
L’economista si occupi di economia, lo scienziato di tecnologia, l’umanista delle persone (ma senza rompere troppo i coglioni), l’ortopedico del menisco (e non un centimetro ed una specialità più in giù).
E poi qualcuno si chiede ancora perché non solo scarseggino gli intellettuali ed i polemisti ma anche i generici pensatori in proprio…
Se c’è una cosa di cui non possiamo accusare il Pensiero Dominante è la cura dei particolari, nossignore.
Loro hanno pensato anche a quei temerari che di questi precetti (ovvero di queste stronzate) se ne infischiano e provano a sfruttare integralmente il loro scibile, spaziando attraverso le più disparate sfaccettature (io la definisco l’intelligenza totale).
Menti proteiformi che non si accontentano del mono-argomento o di soggiornare nella casellina che qualcuno ha scelto per loro e si nutrono di qualunque cosa scateni il loro interesse, apprezzano ciò che sembra inconciliabile, collegano ciò che apparentemente non ha attinenza, pescano da più mari e colgono frutti succosi da terreni diversi.
Ma con la poliedricità bandita da ogni ricetta il risultato è che per loro sei un bipolare, hai una personalità contorta e complicata.
Ed il dubbio viene, inutile negarlo.
Viene, perché puntano sul numero: il numero di quelli che te lo dicono (già in due sono sufficienti ad innescare il meccanismo) ma soprattutto il numero di quelli che non sono come te, scatenando il sillogismo loro sono in tanti uguale io sono il diverso.
Occorre un ego ben pasciuto, una scorza che solo l’esperienza può aver indurito ed una salvifica voglia di dissidenza per non farsi imbavagliare e finire nel loop.
L’esistenza degli individui è una proiezione della vita, e viceversa:là fuori l’esistenza e la vita non sono cablate e programmate secondo un sistema binario.
Perché devo escludere una parte di me, che nella vita è presente, magari non nella mia, ma è presente, facendola dissolvere?
Con una prospettiva che chiede solo di essere allargata, perché io la devo restringere sottraendo me stesso?
Si può osservare il dettaglio senza perdere di vista l’insieme.
Qualsiasi evento della vita affrontato da un solo punto di vista rimarrà incomprensibile, enigmatico e la risposta non soddisferà nemmeno la bocca che l’ha proferita.
E’ la strada per avere slogan pronto uso, per farsi manipolare, per soffocare l’ancestrale curiosità del genere umano.
Non dobbiamo dare una risposta a tutto, a quello purtroppo hanno pensato le religioni con effetti nefasti, e nemmeno ambire all’onnipotenza scientifica, pericolosa come tutti i monoteismi, ma nemmeno risultare degli apatici responsabili del proprio declino e di chi ci sta intorno.
Sappiamo che ogni aspetto della vita è una miscela, ad essere sconosciuti sono il numero di sostanze che la compongono.
Essere eclettici non vuol dire avere velleità da tuttologo ma sapere almeno il nome e le proprietà di qualche sostanza e non limitarsi a conoscerne una, bene, ma solo una.
Dove sostanze non va confuso certo con la chimica.
La vita è certezza e dubbio, gioia ma anche sofferenza, allegria e malinconia; si può essere bramosi di viverla, gaudiosi anche per le piccole cose, bulimici di rapporti umani ma consapevoli che a qualcuno le cose non girano come agli altri, e che anche a noi potrebbe capitare.
Uno può ritenersi soddisfatto della propria vita e vedere contemporaneamente lo schifo che lo circonda, si può inneggiare alla semplicità ma non stancarsi di chiedersi dei perché.
In una vita tutti abbiamo conosciuto alti e bassi, qualcuno della vita non può che essere contento, un altro invece esattamente il contrario, ma nessuno dei due può isolare la propria, di vita.
Ci si può alzare con una radiosa vitalità ma curiosi di sapere il motivo per cui qualcuno alla stessa ora ha trovato solo del malessere, si può comprendere che la vita sia un dono e proprio per questo proteggerla da chi vuole rovinarla, se amo qualcuno (una persona, la vita stessa) devo difenderlo da chi lo attacca, per apprezzare il bello devo conoscere anche il brutto.
Il pessimista non è colui che vaticina il pericolo, è un coglione chi lo definisce tale.
La vita è riso e pianto, è impegno e frivolezza, è trascendenza ed immanenza, è azzardo e prudenza.
La vita è vanga e pennello, Apollo e Dionisio, barbera e champagne.
La vita è io e noi, senza che l’uno soverchi l’altro, è voglia di tranquillità dopo la tempesta e ricerca di stimoli durante il tran tran.
La vita ha sempre qualcosa di sé da far scoprire, ma non obbliga nessuno a farlo, è una facoltà, basta solo non farsela precludere.
Farsi etichettare e stereotipare è come far girare un motore ad un cilindro, lasciando gli altri inchiodati, è come avere un caleidoscopio e relegarlo in una stanza completamente buia, è un uccello davanti all’immensità del cielo con uno spago legato alla zampa che lo rende solo ipotetico.
La modernità ha mandato in soffitta un certo tipo di classismo ma ne ha permeato un altro, meno didascalico ma più fluttuante: il classismo dei pensanti, con la società divisa un sub-strati dove ogni categoria si vede assegnata il proprio compitino col divieto di sbirciare nel banco dell’altra.
Per mantenere in auge un evergreen: il divide et impera.
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