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Io e l’Alfetta

12 Ago

L’Alfa Romeo ha recentemente presentato la Giulia, ma non è di lei che voglio parlare, bensì di una sua illustre progenitrice.
Ci sono diversi motivi per cui da bambini un’auto fa breccia nel cuore, lì prende la residenza e diventa un’icona:
– perché è indiscutibilmente bella;
– perché va forte ed ha un bel rumore;
– perché è posseduta da qualcuno nella cerchia familiare o fra gli amici più stretti;
– perché è l’auto delle forze dell’ordine (da piccoli si è sensibili al fascino della divisa, da grandi decisamente meno) e negli inseguimenti dei polizziotteschi è irraggiungibile;
– perché su di lei aleggiano leggende che il più delle volte son vere.

Io adoro l’Alfetta per tutti questi motivi.
Ma non solo.
Le auto storiche (o d’epoca, insomma quelle di qualche annetto fa) hanno il potere di pulsare emozioni passate (anche solo vissute di striscio) o far vivere situazioni che l’anagrafe ci ha impedito.
Cosa mi piace di più in lei?
Beh, ad esempio…tutto.
Con quei quattro fari tondi è impossibile resistere al suo sguardo ed il colpo del knock-out arriva passando alla fiancata e a quella coda che trasuda tutta la sua voglia di correre via.
E poi le maniglie cromate (arte moderna), i fari posteriori più severi ed austeri per acuire la penitenza di chi deve starle dietro.
O certe finezze come il pomello del deflettore.
Per finire con la marmitta centrale ed il suo inconfondibile ondeggiare durante l’accensione (ha fatto la sua conoscenza anche il Tango di tante generazioni).
Non sono ammesse battute su pulsioni freudiane o prosecuzioni falliche: questo non è un articolo democratico, o potreste essere costretti a guidare una Multipla o una Ssangyong.

Tecnicamente era avanti solo vent’anni anni, alla Bmw in Germania (proprio quelli che oggi danno i compiti a casa) studiavano da lei (ed hanno imparato).
Di serie aveva anche i difetti, qualcuno tanto cronico da divenire un involontario stilema.
Concepita col massimo dei crismi, fu un successo clamoroso, nonostante fosse venuta alla luce un pò in ritardo e soprattutto nel periodo sbagliato vista l’indole sportiva del marchio di Arese, coi due decenni adiacenti (i Sessanta e gli Ottanta) che sarebbero stati onorati di farle vivere una favola ancora più scintillante.
Riusciva (e riesce) a penetrarti nell’anima e a farti vibrare le corde senza dover ricorrere al doping o a inutili estremismi.
Refrattaria al barocco e al ridondante , fa invidia a chi deve ricorrerci per dimostrare il machismo e il sex appeal.
Nella versione berlina era (è) La Berlina, il Gt/Gtv era l’innalzamento di un parossismo nonché mio personalissimo feticcio: talmente incantevole che lo potrebbero rifare così come era senza aggiungere nemmeno un bullone o una luce a led, e pensare che per degli anni ha dovuto sopportare l’onta di essere definito brutto anatroccolo…
Ci si distingueva allora, ci si distingue oggi.
(con accento torinese “Sai cosa ho pensato Lino, ci facciamo l’Alfetta…”)
L’Alfetta era un sogno realizzabile, proiezione rispettata anche oggi.
Univa il sacro (la famiglia) ed il profano (la velocità).
Se faccio fatica a coniare un aforisma per il termine vitellone posso affermare con sicurezza che la sua auto è un Alfetta.
Dagli anni Settanta (la berlina è stata presentata nel 1972, la Gt due anni dopo) in poi ha accompagnato tutti i momenti della nostra storia non lesinando mai grinta, classe e generosità che le sono proprie.
Rispetto ad una macchina dei nostri giorni ha tanto di meno, ma ti accorgi che quel tanto sono orpelli, cioè puro superfluo.
Per assaporare le stesse sensazioni oggi bisogna moltiplicare i cavalli per tre: che la tecnologia debba essere promossa a pieni voti ho i miei dubbi.
L’Alfetta è una rehab dall’elettronica e dal virtuale, un regalo per chi intende le auto come motore, telaio e benzina.
Passa il tempo ma l’Alfetta pare averlo fermato.
Il giudizio su di lei era così vent’anni fa, sarà così nel 2035.
Sarà così sempre.
Quest’auto è un genio compreso (benissimo) anche dai suoi contemporanei e venerato dai posteri.
Per fortuna in giro ce ne sono ancora.
E per fortuna una di queste è una mia coetanea che ha deciso di venire a vivere con noi.