Così parlò Massimo Fini

1 Giu

Due anni fa scrissi un articolo a cui tengo in modo particolare, questo: http://shiatsu77.me/2013/09/25/un-ribelle-di-69-anni/.
Ovvero un doveroso tributo ad una di quelle persone che ti hanno preso per mano facendoti poi camminare da solo, restando comunque sempre al tuo fianco: Massimo Fini.
La risposta del suo entourage fu per me un concentrato di autostima “Tutto azzeccato, solo sul vino hai sbagliato:beve quasi solo bianco.Gli farò recapitare l’articolo”.
Non so se Fini abbia mai letto quell’articolo e probabilmente non lo saprò mai, ma in cuor mio voglio (e devo) credere di sì.
L’impossibilità di saperlo alimenta e fortifica una fanciullesca illusione.

Leggendo la sua recente autobiografia – Una Vita.Un libro per tutti.O per nessuno – si ripercorre il burrascoso fiume di oltre mezzo secolo di storia d’Italia (e non solo), nel quale Fini ha sempre cercato di nuotare controcorrente.
Per scelta e per vocazione, quando il tornaconto da sempre esige il contrario.
Vedendo dove quel fiume è sfociato inutile dire chi avesse ragione anche se il polemista Fini si è sempre chiesto se non fosse proprio la ragione ad avere torto.
E’ considerato un alieno dell’informazione quando dovrebbe esserne un paradigma.
Allergico al conformismo ed alla retorica, saggiamente non ha mai assunto degli antistaminici né tanto meno inoculato vaccini per allinearsi.
La vita sciorinata in questo libro – vergato con quella scrittura semplice e magnetica che il giornalista regala – poteva essere solo la sua: col talento, gli affetti, le passioni ed i principi a specchiarsi coi vizi, le esagerazioni, la fragilità e qualche paranoia.
Una vita umana – accostamento divenuto ormai un ossimoro – che Fini ha voluto lustrare preferendo oscurare il successo.
Ma anche una vita irta di spine: alcune spontanee, altre coltivate dallo stesso scrittore.
Che a volte pare entrare in certe aggrovigliate contraddizioni (sulle donne ad esempio, ma servirebbe altro che un articolo) dalle quali fatica a districarsi lui stesso.
Nonostante sia innamorato della vita, nella sua alberga un rassicurante mal di vivere.
Fini, più di quanto non fiuti il suo istinto, è amato da tanti perfetti sconosciuti, che nell’ultimo libro cercano le affinità con l’autore e i parallelismi con la propria, di esistenza.
Raggiungono il parossismo tra il sogno e la convinzione di averle vissute, certe situazioni, come si rammaricano del contrario.
Nel suo ultimo lavoro il ribelle Massimo si è aperto come non mai, mettendo i panni dello psicologo di se stesso dopo esserlo stato per una ridda di persone.
E’ l’intellettuale meno mainstream che si sia, è stato pionieristico, ha vaticinato eventi e letto in anticipo (spesso da solo) i prodromi di ciò che sarebbe accaduto, ed in questa sua razionale autodiagnosi spacciata per biografia non ha ceduto alle sirene dell’autocelebrazione e dell’agiografia.
Mai altero, mai borioso, consapevole delle proprie qualità, conscio dei propri limiti.

In un articolo di qualche anno fa lo scrittore milanese esternò la sua stanchezza per lo scrivere tessendo una lode – che sapeva di desiderio – per il teatro (ed il teatro, a detta di tutti quelli che lo hanno fatto, ti entra dentro e non ti molla più).
Che io sappia non è più tornato sull’argomento, continuando a tracciare con la sua penna (e non solo) dei solchi che ha irrorato con la solita scibile.
Ma forse qualcosa covava.
Per qui macabri scherzi del destino impossibili da accettare, assieme al racconto della sua vita è arrivata un’ospite inaspettata (per noi, non per lui) che tutti vorremo respingere, la cecità.
E con essa la decisione di smettere di scrivere.
Motivazione razionalissima quella di temere di non garantire più la stessa qualità di lavoro (modestia autentica, chi legge il giornalista milanese sa che in ogni suo pezzo c’è dietro uno studio, una ricerca certosina ), ma anche scusa che il suo stesso background culturale potrebbe smontare all’istante.
Fra la miriade di insegnamenti che Massimo Fini ha lanciato c’è il rispetto per le scelte altrui.
Oltre al sacrosanto diritto di urlare le proprie opinioni, tutte.
Quei perfetti sconosciuti che lo amano hanno imparato a camminare da soli, ma senza di lui al loro fianco si sentono persi, smarriti, confusi.
E gli chiedono perlomeno di rifletterci, su quella scelta.
L’inconfutabile attestazione di quanto quest’uomo abbia compiuto finora.
La fatale investitura per uno della sua statura.

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