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Semplicemente Ayrton/Profeta in patria

14 Gen

Quattro anni del blog ed un solo articolo su di LUI, questo https://shiatsu77.me/2014/08/28/oltre-il-mito-oltre-la-leggenda/.
Non ho spiegazioni, né scuse, solo un pò di vergogna ed un rimedio: la rubrica Semplicemente Ayrton.

Facciamo che siete dei piloti e che potete attingere a mani basse dall’immaginazione per dipingere la sceneggiatura di una vittoria su una pista a cui tenete particolarmente, magari la pista di casa vostra.
Non lesinate, avete carta bianca, oltre all’ovvio epilogo sono concessi qualsiasi tipo di prologo, trama, contesto, sorprese ed effetti speciali.
In questa attività onirica vi è permesso chiedere aiuto ad amici e parenti o scomodare registi e drammaturghi.
Mi spiace deludervi, ma qualsiasi cosa abbiate partorito non raggiungerà mai le vette di pathos toccate ad Interlagos il 24/03/1991.
Fino a quella data la sentenza Nemo propheta in patria non aveva risparmiato nemmeno Ayrton Senna, che in Brasile al massimo annoverava un secondo ed un terzo posto.
Questa volta più che il suo proverbiale perfezionismo e la sua bulimia di vittorie crediamo fosse l’amore viscerale per la propria terra a creare in Ayrton un senso di incompiutezza, lui che orgogliosamente si sentiva un portabandiera di quel Brasile, con tutti i sensi del dovere che una responsabilità di quella portata implica.
Il sospetto che sia un dettaglio funzionale a scriverci un romanzato articolo potrebbe nascere: Senna, dirà qualcuno, aveva vinto già due Mondiali e si apprestava a conquistare il terzo, era il pilota più forte, famoso, pagato ed amato del circus.
Sì, ma non dimenticate mai gli orizzonti mentali del campione di San Paolo.

Che Senna partì dalla pole mi sono accorto ora che potevo fare a meno di scriverlo.
Scattò in testa eppure in diverse riprese Mansell sembrava più veloce e pareva essere in grado di superarlo ma una foratura prima rallenterà il Leone inglese, poi la rottura del cambio lo costringerà al definitivo ritiro.
Non sarà solo il cambio della Williams a creare problemi, al 60° giro nella trasmissione della McLaren di Senna si ruppe la quarta.
E sarà solo il preambolo, Ayrton in breve perdette tutte le altre marce ad eccezione della sesta.
E le Formula Uno di allora non erano esattamente elastiche come i turbodiesel che guidiamo oggi.
Nei tornanti la sua monoposto sembrava fermarsi, se Senna avesse potuto scendere a dare una spinta la sua MP4 sarebbe andata sicuramente più forte.
Senna, il pilota che aveva riscritto il concetto di guida al limite, si trovava a contorcersi perché la sua vettura arrancava rischiando a più riprese di spegnersi.
Un pò la legge del contrappasso, un pò un obolo reclamato dal destino, un pò qualcos’altro di indefinibile che dà alla storia un aura affascinante, fatto sta che si percepì che nel suo abitacolo il pilota della Mc Laren stesse combattendo contro un demone intenzionato a sopraffarlo.
Il nostro aveva le sembianze di un equilibrista che si barcamenava a gestire una situazione kafkiana, esacerbata dalla tensione per essere ad un passo dalla vittoria e di vedersela sfuggire.
E mancare un’altra volta la vittoria nel GP di casa era una fattispecie che stava logorando Ayrton.
Lo stress si mischiava all’agonia fisica in una miscela deleteria, quella condizione non sarebbe stata sopportabile a lungo.
Ma c’erano da percorrere ancora una decina di giri.
Grazie alle sue acrobazie, al raggiungimento di una momentanea atarassia (forse) ed anche ai problemi meccanici che afflissero l’altra Williams di Patrese, Senna riuscì a completare in testa anche il 71°giro assicurandosi l’agognato primo gradino del podio.
A 31 anni era finalmente riuscito a trionfare nella propria terra: il macigno che Ayrton portava dentro doveva essere un fardello pesantissimo a giudicare dalle urla che si udirono dalla camercar appena tagliato il traguardo.
Lancinanti, paranormali, disumane, toccanti come pochi altri suoni.
No, decisamente quello non poteva essere solo un grido di esultanza, aveva tutte le sembianze di una liberazione e di un’espiazione.
Il Senna dei sorpassi impossibili, del ritmo frenetico, delle traiettorie impostate schernendo le leggi della fisica quel dì si travestì da un fedele guerriero che servì allo sfinimento la causa patriottica affidatagli: il talento lasciò il posto alla sofferenza, l’estetismo fu soverchiato dalla necessità, accettò ogni tipo di angheria e di tortura pur di giungere nella sua terra promessa.
Senna finì la corsa stravolto, aveva i muscoli del collo e delle spalle completamente contratti e fu estratto a fatica dall’abitacolo.
Ma la bandiera carioca era stata issata.

La vita di Senna è sempre piombata senza soluzione di continuità nelle sue gare lasciando evidenti tracce, dal granellino al pezzo grosso così.
Già detto della brasilianità, Interlagos ’91 racchiude un altro aspetto intimo del pilota, il rapporto col padre.
Con lui (ma con tutta la famiglia) un fortissimo legame simbiotico, costellato da sudditanza e rivincite.
Dal bel documentario del 2010 Senna si vedono le immagini dei festeggiamenti nei box della Mc Laren, Ayrton scorge la figura di suo padre ed esclama un “Papà!”, quasi una tenera richiesta di attenzione e coccole che ogni figlio maschio si aspetta di ricevere dal proprio genitore.
Come dire, me li puoi fare i complimenti, me li sono meritati oggi, guarda in che condizioni ho vinto.
Il signor Da Silva (Senna è il cognome materno) accorre al capezzale del figlio ma fa appena in tempo a sfiorarlo che questi gli intima di toccarlo delicatamente ed il meno possibile.
Ora è il figlio che dice al padre cosa deve fare.
Cosa e come.
Senna quel giorno di fine marzo allontanò l’incubo della gara di casa e si affrancò da una subordinazione nei confronti del papà, anche se gli eventi di qualche anno dopo dimostreranno che emanciparsi totalmente dalla sua famiglia gli risulterà impossibile.

Rimaneva da alzare la Coppa per dare alla giornata il suggello definitivo, senza quel gesto sarebbe stata quasi una vittoria di Pirro (per favore, nessuna battuta sul pilota romano).
Senna era allo spasmo ma richiamò all’ordine le pochissime energie ancora sparse per il suo corpo per alzarla al cielo, un rito doveroso per celebrare la sua vittoriosa battaglia combattuta al solito non solo coi rivali in pista.
Senna gongolava per essere stato spolpato nel fisico e nell’anima dal suo paese, dal suo popolo.
Per avere conseguito una vittoria nel dolore.
Una vittoria del dolore.
Una vittoria dal sapore indimenticabile.

 

 

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Semplicemente Ayrton/Vincere perdendo

22 Ago

Quattro anni del blog ed un solo articolo su di LUI, questo https://shiatsu77.me/2014/08/28/oltre-il-mito-oltre-la-leggenda/.
Non ho spiegazioni, né scuse, solo un pò di vergogna ed un rimedio: la rubrica Semplicemente Ayrton.

Ci sono degli sportivi che anche nelle vittorie non riescono a salire completamente sulla vetta.
Altri che nelle sconfitte escono comunque vincitori.
Ad Ayrton Senna non bastava semplicemente vincere.
Perché comunque c’è sempre un vincitore e lui non voleva essere confuso con uno dei tanti.
Parimenti, quando non riusciva a centrare il suo vitale obiettivo Ayrton non finiva certo nel girone degli sconfitti.
Nossignore.
Lui anche in quelle occasioni brillava di luce propria e la sua iconografia splendeva come e più di prima.

Nelle corse automobilistiche la macchina ha sempre influito.
Ma in quei primi anni Novanta si iniziava a percepire che avrebbe scalzato il pilota nel ruolo del più influente dei due.
Nel 1993 anche l’intelligence francese avrebbero intuito a chi sarebbe andato il titolo mondiale, cioè al loro connazionale Alain Prost.
Lo sapeva ovviamente prima di tutti Senna, che veniva da una stagione tribolata.
Nel ’92 infatti la Williams-Renault con le sospensioni attive aveva palesato una superiorità imbarazzante (invero già vista nel finale della stagione 1991), mentre la Mc Laren dopo anni di dominio si ritrovava tecnologicamente indietro.
Un esempio emblematico: il cambio con comandi al volante arriverà solo a stagione inoltrata.
Non bastassero queste nefaste premesse pure l’affidabilità faceva cilecca: rotture a go go e Ayrton, con ancora il numero 1 sul musetto, chiuse al 4° posto in campionato.
La Honda, che alla monoposto inglese forniva da tempo i motori, si ritirerà dal circus iridato proprio alla fine di quella stagione e lascerà in braghe di tela la scuderia di Woking.
Senna fece carte false in inverno per andare alla corte di Frank Williams, ma quel volpone di Prost nell’anno sabbatico che si era preso, aveva trovato il tempo di scrivere anche i dettagli del suo ultimo matrimonio in carriera (quello con la Williams, appunto).
Non in senso metaforico, li scrisse proprio.
O comunque li dettò.
La clausola c’era, bella chiara ed era il classico aut aut: Ayrton Senna non potrà sedere sulla stessa monoposto.
Prost in vita sua non ha mai provato l’ebrezza di essere ingenuo, nemmeno il terzo giorno d’asilo.
Sapeva che a parità di macchina col brasiliano avrebbe vinto il suo quarto Mondiale solo sulla pista Polistil.
Senna – uno con la competitivite dieci volte i valori di riferimento – non la prese bene.
No, non è vero.
Si incazzò proprio come una bestia.
Girò perfino la voce di un suo ritiro, alla fine si accordò col team manager Ron Dennis per un singolare contratto a gettone: alla fine di ogni gara incassava l’obolo e decideva se correre quella successiva.
Senna si ritrovava un motore a soli 8 cilindri con meno cavalli nel recinto, la consapevolezza di un mezzo palesemente inferiore e sulla miglior macchina del lotto vedeva seduto il rivale di una vita Alain Prost, che lo aveva boicottato impedendogli di esserci lui, su quella macchina.
Senna in quel 1993 diede letteralmente spettacolo.

Il giorno della gara a Donington Park pioveva.
E forte.
Nelle prove sull’aciutto Senna (il re della pole) non era andato oltre la quarta posizione.
Ma quell’acqua aveva un sapore mitologico.
Ed un significato di giustizia divina.
Aveva lavato (e levato) via i favoritismi mettendo a nudo le vere qualità degli eroi in pista.
Pronti via, e Senna perdette una posizione ma quello fu il classico giorno dell’offerta speciale: una lectio magistralis assolutamente gratuita (ed indigesta) per gli altri piloti
Era quinto, dicevamo.
E li sorpassò tutti quelli che gli erano sventuratamente davanti.
Prima il giovane Schumacher, poi Wendlinger, dopo fu la volta di Damon Hill ed infine il caro nemico Prost.
Filotto.
Scusate, l’emozione mi ha fatto omettere un particolare.
Li sorpassò tutti, sì.
Ma nel corso del primo giro!
Senna quel giorno correva sulla stessa pista dei suoi rivali ma in un’altra dimensione.
Quello che agli altri opprimeva a lui galvanizzava.
Tutti erano frustrati, lui esaltato.
Per gli avversari era un calvario, per lui un trionfo.
Soave, maestoso, danzava sulla pioggia ad un ritmo forsennato.
Pare che la fisica quel giorno abbia avuto diverse crisi d’identità ed un tentativo di conversione.
Entusiasmante come vedere sfrecciare Senna sul bagnato c’era solo vedere Senna sfrecciare sul bagnato.
Direte, ma un pilota cosa può fare più di così?
Ve lo dico io, sono qua apposta.
Più di così un pilota può doppiare tutti gli altri eccetto Hill che arriverà secondo al traguardo dopo solo 1’23” e 199 millesimi.
Non si può incoronare chi è già re ma nemmeno impedire alla gloria di aggiungersi ancora al più valoroso.
Senna ricevette quel dì un’ulteriore investitura chiamata leggenda assoluta, mentre Prost subì l’onta del doppiaggio dopo essere andato in pellegrinaggio più volte ai box (cambierà le gomme sette volte).
Non avendone abbastanza dell’umiliazione in pista il francese nella conferenza stampa post gara osò lamentarsi dei problemi alla vettura adducendo ad essi la sua gara incolore (terzo, ma con poco da festeggiare).
Serafica la risposta del campione di San Paolo che lo gelò “Vuoi fare cambio con la mia Mc Laren?Io ci sto!”
Mancava solo che gli mimasse il gesto di consegnargli le chiavi…
L’esperto consiglia di andare su You Tube e di riguardare quel primo giro del GP d’Europa.
E già che ci siete mettete un cartello sulla porta con scritto “Pregasi non disturbare,sto contemplando un’opera d’arte”.

Ne seguiranno altre di vittorie in quella stagione, il bottino salirà a cinque, oltre a qualche ritiro quando era a giocarsela.
Nel Mondiale finì dietro l’iridato Prost e mai un secondo posto fu più vittoria di quello.
In quell’annata Senna era un uomo contrariato ma sereno allo stesso tempo, scevro da pressioni ed obblighi.
A suo modo e sempre con la proverbiale profondità, se ne fotteva di tutto e tutti, quasi a dire “Non lo vincerò il Titolo, ma vi faccio vedere cosa sa fare Ayrton Senna”.
Riuscì a vergare un Mondiale senza che il suo nome apparisse nell’albo d’oro.
A cotanta potenza arrivarono le sue imprese in quell’annata.
Affrancato, obtorto collo, dall’imperativo di essere l’uomo da battere è come se Ayrton fosse tornato a rivivere le stagioni alla Lotus ma con un’età più matura.
Sogno proibito di molti quello di gironzolare fra le varie epoche compilando personalmente la carta d’identità.
Chi è avvezzo a sfrecciare oltre i trecento all’ora probabilmente è ritenuto più consono per ricevere le chiavi della macchina del tempo.
Non sappiamo se quelle chiavi a Senna gliele avesse consegnate il suo amato Dio, il destino, il caso, o se erano incustodite nel box.
Certo, dilatando la vita del fuoriclasse brasiliano e mettendola in sequenza come fosse un film, quel 1993 suona come la fine di qualcosa, come un’inversione di tendenza che Senna doveva cercare o semplicemente subire.
Come se il fiume nel quale Ayrton si era bagnato nelle sue stagioni alla Mc Laren non potesse più farlo.
Non alla stessa maniera.
Un giro di boa ineluttabile per proiettare il tre volte campione del Mondo in una nuova dimensione, verso una corrente altrettanto pescosa, i cui parametri stavano però mutando.
Era sempre una spanna sopra tutti ma stavolta il suo talento gli aveva fatto conoscere un’essenza diversa della vittoria.
A lui, che viveva per quella.
Più leggendaria, meno materiale.
Chissà se il mistico e trascendente Ayrton prima di tutti seppe interpretare questi prodromi.
Perché le coincidenze quando parliamo di Senna hanno meno credibilità del solito.
Lo abbiamo capito, fu una delle stagione più insolite per Senna che si chiuderà nell’ultima gara con l’accoppiata pole position-vittoria – il marchio di fabbrica (o un altro vaticinio, saprete già il perché) – seguite poi dal passaggio invernale alla agognata Williams (Prost si ritirerà) in vista del 1994.
L’anno della sua morte.

 

 

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Semplicemente Ayrton/Mondiale alla Senna

28 Lug

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Non ho spiegazioni, solo un pò di vergogna ed un rimedio: la rubrica Semplicemente Ayrton.

Ne saranno demoliti parecchi di luoghi comuni, di credenze e di consuetudini da Ayrton Senna nella sua carriera.
La vittoria, ad esempio.
No, siamo lontani dall’approccio decoubertiano.
Senna al riguardo aveva le idee piuttosto chiare: “La cosa importante è vincere tutto, sempre”.
Ancora: “Io voglio vincere sempre. L’opinione secondo cui la cosa importante è competere è un assurdità”.
La rivoluzione fu il come.
Sempre il pilota di San Paolo: “Ho bisogno di fare qualcosa di speciale. Ogni anno qualcuno vince un titolo. Io voglio fare di più.”
Una frase del genere poteva essere pronunciata solo da uno squilibrato o da un genio.

Torniamo al 1988, poi capiremo.
La Mc Laren MP4/4 è un proiettile, Senna e Prost due cannibali che ne faranno 15 su 16 sia nelle pole sia nelle vittorie.
L’unica gara in bianco dei due permetterà alle Ferrari di Berger ed Alboreto di trionfare a Monza a meno di un anno dalla morte di Enzo Ferrari.
Digressione doverosa.
Alla sua prima stagione alla corte di Ron Dennis il talento brasiliano fa vedere cose aliene nel condurre la vettura.
I primi ad esserne spaventati, prima che colpiti, sono quelli del suo team.
Senna in qualifica è una furia, a fine anno le pole position saranno 13.
Sul giro secco infligge distacchi che talora sono quelli di un intero GP.
Nel Gran Premio cittadino di Monaco in qualifica un Ayrton Senna in totale stato di grazia (cit.) rifila quasi un secondo e mezzo (sic) al compagno di squadra.
In quella gara arriva ad avere un vantaggio di 55 secondi sul Professore prima che un calo di concentrazione e la voglia di umiliare il francese lo facciano picchiare al giro 67.
Se in qualifica Senna non ha rivali il campionato è invece equilibrato, complici alcuni guai tecnici occorsi al brasiliano.
E non dimentichiamolo, grazie anche al valore di Prost.
Ma quando vince (cioè spesso), Senna stravince e annienta gli avversari.
C’è ancora la regola degli scarti, meccanismo più complicato e cervellotico di una proposta di legge elettorale, ed Ayrton arriva al GP di Suzuka con meno punti di Alain ma col primo match ball della stagione:se vince la corsa, il titolo è suo.
Senna parte dalla pole, Prost al suo fianco.
Tutto pronto, semaforo verde, ma la monoposto n.12 incespica e sembra spegnersi.
Ciao Ayrton, il sogno svanisce.
Il tuo Mondiale non lo vincerai oggi, forse un’altra volta, chissà.
Ma non sicuramente oggi.
Mettiti l’animo in pace, le corse sono fatte così.
Senna alza le braccia per segnalare la sua resa.
Poi la leggera pendenza di Suzuka fa riavviare il motore.
Ma solo per un attimo, poi di nuovo il buio.
Più lunghi da raccontarli che da viverli questi istanti in cui l’anima scopre i sentimenti più distanti fra loro.
Alla partenza il cuore di un pilota è già martoriato da 180 battiti al minuto, il suo è pure salito sulle montagne russe di emozioni lancinanti.
Non si sa come, ma Senna riesce finalmente a partire.
Il tempo di lasciare calmare il cervello (riporto le sue parole) ed il brasiliano inizia una feroce rincorsa.
Non è una semplice rimonta.
E’ la dimostrazione della sua superiorità.
E’ l’istantanea della sua voglia di vincere.
E’ una metafora della sua vita.
Quelle di Senna, lo avrete capito, sono favole epiche più che semplici gare.
E poteva mancare l’acqua?
Certo che no, arriva anche quella.
La fuga di Prost termina al 28° giro quando Ayrton lo sorpassa ad una velocità spropositata ed al suo cospetto il Professore sembra essere fermo.
Dopodiché Senna diventa imprendibile per tutti tranne che per le telecamere, che ce lo immortalano in festa per il suo primo Mondiale.

Dirà che a Suzuka avvertì la presenza di Dio, che fu lui a guidarlo alla vittoria.
Terrene o divine, Senna aveva accesso a risorse inaccessibili ai più.
Senna non voleva vincere in maniera normale.
Senna non poteva vincere in maniera normale.
Gli eventi glielo avrebbero impedito
Gli stessi eventi che se fossero capitati a qualsiasi altro pilota, gli avrebbero impedito semplicemente di vincere.
Eccola la differenza fra Ayrton e gli altri.
Lui è riuscito a scolpirsi il nome nella pietra combattendo con campionissimi del calibro di Piquet, Mansell e Prost.
Il talento, la classe cristallina, le qualità fuori dal comune.
Certo, tutto vero.
Ma Senna era dotato di una indomita forza di volontà, la sua cura per i particolari era più giapponese che carioca.
Era preciso fino alla pignoleria.
Avremo modo di scoprire che risulterà impossibile spacchettare le qualità (tecniche ed umane) di questo pilota meraviglioso.
Di più, lui seppe unire gli opposti, facendoli non solo coesistere, ma addirittura esaltare in questa alchimia apparentemente impossibile.
Una magia.
Genio e regolatezza.
Ricordate le sue parole?
“Ho bisogno di fare qualcosa di speciale. Ogni anno qualcuno vince un titolo. Io voglio fare di più.”
Questo sarà solo l’inizio.

 

 

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Semplicemente Ayrton/Genesi di una stella

26 Lug

Quattro anni del blog ed un solo articolo su di LUI, questo https://shiatsu77.me/2014/08/28/oltre-il-mito-oltre-la-leggenda/.
Non ho spiegazioni, solo un pò di vergogna ed un rimedio: la rubrica Semplicemente Ayrton.

Sì, sono d’accordo con voi, paragonare fra loro dei piloti di epoche differenti può risultare tanto fuorviante quanto infantile.
Difatti i confronti sono spesso appannaggio delle trasmissioni sportive e delle riviste specializzate.
L’importante però è sapere che a metà degli Anni Ottanta le Formula Uno erano degli allegri mostri i cui motori turbo (integralisti interpreti della modalità “O tutto o niente”) superavano abbondantemente i mille cavalli.
I 1.000 cavalli, se vi fa più effetto.
Tutti violentissimi, dal primo all’ultima stilla.
Il controllo della trazione era un orpello riservato ai film di fantascienza, le gomme invece erano rigorosamente quelle di trent’anni fa.
Dei giornalisti chiesero, in momenti diversi, a due ingegneri (rispettivamente della BMW e dell’Honda) se veramente nelle qualifiche le potenze dei motori arrivassero a 1.500 cavalli.
La domanda era retorica, le risposte identiche e comicamente disarmanti nella loro appassionata sincerità “Ah, può essere…Solo che il nostro banco a rulli ne misura solo fino a 1.300, di cavalli…”
Per guidarle non bastava la vocazione del pilota, servivano anche tracce di eroismo.
Giusto per contestualizzare.

Nessun romanziere, sceneggiatore o regista avrebbe potuto inventarsi una storia così perfetta per raccontare la genesi di una stella come quella che il destino fece vivere il 3 giugno 1984 ad Ayrton Senna da Silva.
Tutto era al posto giusto, sincronizzato, in una inappuntabile successione: l’ambientazione, le condizioni, il contesto, il rivale e gli strascichi.
Tutti prodromi di quello che avverrà da lì in avanti.
Cerchi che si apriranno, si ingrandiranno, si chiuderanno per incrociarne altri e poi ripartire di nuovo in un tourbillon veloce come le monoposto.
Sono le corse, una parentesi della vita.
Gli eventi sono casuali solo per chi non vuole vederci nulla di più.

Torniamoci, a quel giorno.
Non ve l’ho detto, siamo nel circuito cittadino di Montecarlo e sul Principato dal mattino si è abbattuto un forte temporale.
Acquazzone che non si interromperà per tutta la gara.
I piloti sono consci dei rischi che corrono e si percepisce: preoccupati, tesi, nessuno ha voglia di aggiungere del rischio ad un Gp che ne possiede in abbondanza di suo già in condizioni di asciutto, figuriamoci in questa risaia.
Ed infatti nonostante i piloti seguano pedissequamente le raccomandazioni della mamma (corri, ma non troppo) ogni tanto qualcuno viene inesorabilmente falcidiato dall’acqua.
Chi da solo (ad esempio Mansell e Lauda), chi in compagnia (Warwick, De Cesaris e Tambay).
Dalle retrovie si fa sempre più notare il giovane Senna.
Un esordio in Formula Uno vale anche la sua modesta Toleman.
Nei primi cinque Gran Premi due buonissimi sesti posti per il promettente ragazzo di San Paolo.
Incurante (e non potrebbe fare diversamente) del mezzo che sta guidando Senna getta sul Mondiale di Formula Uno tutto il suo impeto e la sua voglia di emergere.
Seconda sola alla sua velocità fra i cordoli.
Ayrton sul bagnato è già un fenomeno e dopo qualche giro a remare nella pista capisce che in quelle condizioni l’auto deve essere il più guidabile possibile, la potenza (anche se la Toleman non esagera…) in condizioni simili è più dannosa che inutile.
Cosa fa?
Abbassa al minimo la pressione del turbo poi tutto viene da sè perché il limite per alcuni piloti è una chimera irraggiungibile, mentre per lui un obiettivo, un compagno di vita ed uno stimolo.
Inizia a girare in tempi fantastici, tant’è che non impiega molto a giungere fino al secondo posto a meno di due secondi dal capofila Alain Prost.
Il ventiquattrenne brasiliano assomiglia ad una belva che sta per azzannare la sua preda,niente di personale (per il momento), solo istinto.
E vista la differenza di passo fra i due il sorpasso sembra solo questione di giri.
Ma non arriva.
Perché i commissari al 32° giro espongono la bandiera rossa (giustamente?,favorendo Prost?) e gara finita con quelle posizioni: vince il francese ed il rookie Senna è secondo.
Il brasiliano si sbraccia come un tarantolato, forse esulta per l’insperato risultato, forse è incavolato perché fiutava la possibilità di salire sul gradino più alto del podio.
Delle due decisamente la seconda.
“Qui si parla francese ed è meglio che vinca un francese.” dirà il pilota della Toleman a fine gara.
La voglia di vincere si scontra da subito con le gerarchie e le leggi della politicissima Formula Uno.
Sarà la prima di una lunga serie, uno dei suoi tanti stilemi.
Senna è un predestinato, e il fato – per eccesso di zelo – ha voluto dargli un’ulteriore conferma in una sorta di caccia al tesoro dove probabilmente la mancata vittoria rientra nel disegno: per mostrargli che nelle gare essere il più forte non sempre basta, o comunque non basterà sempre a lui.
Ecco perché le sue vittorie non saranno mai vittorie normali (per quanto possa essere normale una vittoria).
Senna lo sapeva già, ed ora il Mondo intero: è nata una stella.
E da quel giorno lo capiranno anche gli avversari.

 

 

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